la Repubblica, 29 luglio 2023
Gli anni difficili di Italo Calvino
Scomparso troppo presto dalle sale di prima visione, il film Anni difficili rispunta solo oggi in quelle di seconda. Oltre al “cinema-arte” c’è un “cinema-giornalismo”: ecco una distinzione di cui i critici cinematografici non tengono abbastanza conto. Tra un film e un altro ci può essere la differenza che ci può essere tra un poema e un articolo di giornale; eppure essere tutti e due bellissimi, allo stesso modo che la validità d’un poema non toglie nulla alla validità d’un articolo di giornale.
Anni difficili,film di modestissime pretese artistiche, è un serio e lodevole esempio di “cinema giornalismo”, un saggio di costume pieno di notazioni acutissime sulla vita e la cultura di diverse classi e di diverse generazioni in un particolare periodo della nostra storia nazionale, ed i suoi stessi limiti ideologici sono ben netti e significativi e giustificabili storicamente. Merito ne va soprattutto ai soggettisti, Brancati e Amidei, ma anche al regista Zampa, cui in Italia si dovrebbe fare più attenzione, perché è proprio il regista da “cinema-giornalismo”, mosso sempre da preoccupazioni di contenuto, che son poi quelle, giuste o sbagliate, del giudizio spicciolo popolare. È stato male non soffermarsi, ad esempio, l’anno scorso suL’onorevole Angelina che ancor più di Anni difficilimeritava un’ampia discussione, essendo ancor più ricco di contraddizioni tra una viva esigenza democratica e un affiorare di pregiudizi reazionari.
Non mi soffermo a ripetere le ragioni per cui Anni difficiliè un film antifascista e positivo; altri l’hanno fatto prima di me, e meglio di tutti Pietro Secchia su
Vie nuove. Vorrei definire invece il grande limite d’incomprensione storica che condiziona il film: questo dar la colpa del fascismo alla «vigliaccheria di tutti», questo porre la questione in termini moralistici, di contegno individuale, che è poi la ragione del pessimismo del film, di quel suo aspetto che certi d.c. punti sul vivo han voluto definire «antinazionale».
Anni difficili è il fascismo come poteva esser visto e interpretato da un piccolo paese della Sicilia; ed è tutto vero: il podestà barone ed industriale che si serve del fascismo per mantenere il suo potere di classe, l’antifascismo da retrobottega ridotto alla sterilità della barzelletta e al gesto eroico e disperato d’uscire in piazza cantando laMarsigliese, il clero che sostiene «l’uomo della Provvidenza», un proletariato agricolo tanto immiserito da accettare il ricatto imperialista e farsi mandare a scannare in guerra per non morir di fame. Ma delle grandi cause di tutta questa situazione: il capitale finanziario da una parte e le lotte operaie e bracciantili dall’altra, e ancora le lotte tra i vari capitalismi nazionali su scala mondiale, non si ha coscienza: non si sa che sono questi fatti a muovere la storia e che il piccolo dramma morale di Piscitello si salva dalla sterilità e dal fatalismo solo se si aggancia a questi grandi fatti, solo se si aggancia alla storia.
Ma molta Italia, sarebbe bugia il negarlo, era sotto il fascismo sganciata dalle ragioni vive della storia, e non solo nel Sud: molta Italia è provincia, burocratica e farmaceutica provincia come quella di Piscitello. Né c’è da stupirsi che in questo quadro l’unico che combatta concretamente per la libertà non sia, come sarebbe stato giusto in un quadro nazionale più completo, l’operaio comunista, ma un estraneo, uno piovuto dal cielo, un cittadino americano paracadutato. E la liberazione tradita, il passaggio della classe dirigente dal fascismo alla protezione americana, l’epurazione all’incontrario, son chiaramente visti e denunciati, però interpretati secondo il solito criterio moralista e pessimista, per ignoranza dei concreti motivi di classe.
Ma l’aspetto più interessante del film è, io credo, lo studio dei giovani cresciuti sotto il fascismo: tuttoil film potrebb’essere definito un atto d’accusa delle nuove generazioni contro quelle che le hanno immediatamente precedute. Il figlio sempre in guerra, che non è fascista ma che giudica il fascismo con pensosa moderazione («Mussolini non sarà così cretino da fare un’altra guerra...». «Erano idee sbagliate ma molti ci credevano...»), il figlio che ci lascia la pelle proprio all’ultimo, è un sobrio e verissimo ritratto d’una generazione. La realtà della guerra lo fa guardare con distacco a tutte le pompe retoriche del regime, ma d’altra parte l’antifascismo parla un linguaggio che non è già più il suo, il linguaggio di un’altra generazione, con problemi a lui sconosciuti. È solo e indifeso, pur con il suo buon senso e la sua forza; tutti i suoi ideali sono in un semplice sogno casalingo; e morirà sacrificato da ambizioni altrui.
Un altro ritratto assai vero storicamente, anche se caricaturato e non sobriamente realistico come l’altro, è la figlia lettrice di romanzi dannunziani, portata al fascismo da attrazioni di «cultura», o meglio di «gusto». Poi verranno i due disumani marmocchietti gallonati della Farnesina; ma sono ragazzi, e avran tempo a salvarsi, o a perdersi.
L’antifascismo della farmacia è appunto giudicato, nel film, dal punto di vista d’una generazione che non vuole chiudersi in farmacia. Per i giovani, l’antifascismo doveva essere un’altra cosa, e lo fu, e fu veramente un fatto di massa, quando riuscirono a legarsi alla storia e alla pratica. Ciò non di meno anche questo piccolo antifascismo provinciale e isolato di cui parla il film è stato necessario e sacrosanto: e ci sarebbe piaciuto vederlo trattato con più affetto e rispetto.
Ma l’importanza d’un film come Anni difficili sarebbe minore se essa consistesse solo nell’invito ad un riesame del passato. Lo spettatore di coscienza, visto il film, deve porsi la domanda: «Cosa deve fare, oggi, Piscitello?». Io non sono d’accordo con quelli che hanno definito «qualunquista» Anni difficili.Mi sembra al contrario un film antiqualunquista per eccellenza, un film in cui vien gridato ben alto: «Se non vogliamo uccidere i nostri figli non bisogna dire “Non m’impiccio di politica”, per poi subire la politica degli altri, ma bisogna essere tutti d’un pezzo, e lottare, e organizzarsi!».
Piscitello è ancor oggi nello stesso comune, sotto all’antico podestà-barone, ora sindaco democristiano, con l’Azione Cattolica che gli porta a Roma i figli col basco verde, e la moglie che brontola perché i colleghi iscritti alle Acli portano a casa i pacchi americani e lui no, e la radio e i giornali che parlano del Patto Atlantico. Però c’è qualcosa di nuovo: in piazza, a un balcone, c’è l’insegna rossa della sezione comunista, e dentro tanta povera gente come lui che però ha idee più chiare di lui sul sindaco-barone, sui baschi verdi, sui pacchi americani e i patti atlantici. Piscitello che ha l’esperienza dell’altra volta, cosa farà, Piscitello?
L’intervento, del 1949, è stato pubblicato e contestualizzato da L. Baranelli, “Gli anni difficili di Italo Calvino”, «Millimetri», n. 6-7, 2004 (poi in “Lo straniero”, n. 74/75, 2006). Tratto da “Guardare” © 2023 by Eredi Calvino e Mondadori Libri S.p.A., Milano
Si può definire come un atto d’accusa delle nuove generazioni contro quelle che le hanno precedute Il podestà barone dopo il regime diventa sindaco DcIl figlio del personaggio principale è solo e indifeso, pur con il suo buon senso e la sua forza Morirà sacrificato da ambizioni altrui