la Repubblica, 29 luglio 2023
L’Italia di Meloni dopo Washington
Quali sono i riflessi italiani dell’incontro di Giorgia Meloni con Biden? Uno inparticolare: la premier torna in Italia pienamente legittimata dall’alleato americano. In questo la visita ha seguito il copione tradizionale. Nell’arco dei decenni, chi governava a Roma ha sempre sentito il bisogno di ottenere l’investitura di Washington. E in genere ciò avveniva, con scarse eccezioni, dopo qualche mese o persino qualche settimana dall’avvio di quel governo, quale che fosse la formula politica.
Momenti di diffidenza non sono mancati e hanno scandito alcuni passaggi drammatici della storia del dopoguerra.
Stavolta le circostanze erano peculiari. La provenienza politica della premier Meloni creava più di un’inquietudine alla Casa Bianca e al Dipartimento di Stato. Una donna dell’estrema destra populista, una “versione italiana di Trump”, come scrisse un giornale dopo il voto del 25 settembre, suscitava dubbi a non finire. Peraltro gli Stati Uniti sono tutto tranne che una società monolitica: le opposte opinioni si confrontano con asprezza sui media e si proiettano nell’amministrazione. Una posizione anti-Meloni è sempre esistita ed esiste ancora oggi: si veda l’articolo dello scrittore David Broder apparso ieri su questo giornale, in cui si mette in guardia il circolo del presidente dal fare quello che invece era già stato deciso. Appunto legittimare il “modello italiano” e la giovane leader. La quale, è appena il caso di ricordarlo, aveva superato una serie di valutazioni che si sono susseguite dal suo ingresso a Palazzo Chigi in poi, anche attraverso i vari “summit” internazionali a cui ha preso parte.
Personaggi come Bolsonaro e Orban, per dirne due, non sono mai stati ricevuti da Biden. Il quale si è alla fine convinto, insieme a buona parte dell’“establishment”, che la giovane italiana, nonostante le origini, non è una Bolsonaro in tailleur. Ed è scattata la scintilla della simpatia. Che è certo autentica, ma si fonda anche su una reciproca convenienza. Per Giorgia Meloni, come si è appena detto, è la necessità di farsi legittimare dal maggiore alleato. Per Biden è l’attenzione ai voti degli italo-americani, ora che si avvicina l’anno delle elezioni presidenziali. Senza dubbio da parte della Casa Bianca c’è anche un investimento sul futuro. Uscito di scena Mario Draghi, gli Stati Uniti hanno in Sergio Mattarella un difensore convinto dell’alleanza atlantica.
Ma sul piano politico avevano bisogno di ritrovare un interlocutore affidabile, in grado di offrire garanzie di stabilità. E in definitiva l’hanno trovato nella “destrorsa” Meloni, se saprà tenere a bada certe pulsioni filo-russe presenti nella Lega (molto meno in Forza Italia dopo la scomparsa di Berlusconi).
È chiaro che il sostegno instancabile all’Ucraina ha costituito la chiave di volta da cui ha preso forma l’ultima versione del rapporto Roma-Washington. Tuttavia al di là della guerra all’Est è evidente che ci sono altri campi in cui l’Italia può giocare un ruolo nell’ottica americana. Anche qui la parola decisiva è “stabilità”: per la precisione la stabilità nel Mediterraneo, non a caso il teatro in cui l’Italia ha assunto delle iniziative ambiziose, fino a mettere un po’ ai margini, almeno in questa fase, la Francia.
Sullo sfondo resta la Cina, dove il prevedibile mancato rinnovo del memorandum sulla Via della Seta, perché di questo si tratta, dovrà essere bilanciato da migliori rapporti bilaterali con Pechino. Giorgia Meloni non mancherà di spendere il successo nella campagna elettorale europea. Ma anche per lei i vincoli sono stretti. L’amicizia americana esige che l’abbandono del populismo, cioè il percorso verso una destra tollerante e rispettosa dei diritti, sia lineare.
Senza cedere ai richiami della foresta.