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 2023  luglio 30 Domenica calendario

I cinema muoiono. Ma il cinema vive

Il multisala Odeon di Milano chiude. Ultima proiezione lunedì 31 luglio, poi iniziano i lavori: nel 2024 aprirà un centro commerciale. Aperto nel 1929, il centralissimo cinema è un tempio art deco, dove tutti i milanesi – permanenti, transitori, occasionali – sono stati, almeno una volta. È una notizia triste, certo non isolata. Negli ultimi cinquant’anni, i cinema di Milano sono passati da 160 a 28. Nel resto d’Italia è andata anche peggio.
Se vi aspettate, a questo punto, un grido di dolore, posso anche accontentarvi: sì, dispiace. Dispiace molto. Ma, confessato il dispiacere, dobbiamo chiederci: era prevedibile? Risposta, sì. E poi: era evitabile? Risposta, no.
Perdonate se ripeterò cose ovvie, ma ogni tanto serve. Con televisori sempre più grandi, con immagini sempre più nitide e un suono impeccabile, con piattaforme che offrono qualsiasi film a qualunque ora, pensiamo davvero che i cinema resisteranno? Che qualcuno vorrà prendere l’auto, cercare un parcheggio, sperare di non arrivare tardi, comprare un biglietto per vedere un film? Il teatro, a casa, non arriva; il cinema, sì.
Quando sento registi e attori parlare del «fascino della sala buia» e dell’«emozione di guardare insieme un film» mi sembra di ascoltare quei colleghi giornalisti che parlano del «piacere tattile della carta» e del «profumo dell’inchiostro». Capisco questi piaceri (la sala buia, il quotidiano tra le mani); ma io sono un anziano signore. Per figli e nipoti questi discorsi sono incomprensibili.
Non sta finendo il cinema né il giornalismo, è mutato il modo di fruirne. La trasformazione ha preso velocità: ogni sala e ogni edicola che chiude rende più difficile andare al cinema e acquistare un quotidiano di carta. C’è chi – romanticamente, testardamente – difende queste abitudini. Ma quanti sono? E quanto resisteranno? La tenacia è ammirevole. Ma in questo caso inutile, temo.
Scrivo queste cose con tristezza: quello che scompare è anche il mio mondo. Ma dobbiamo cambiare, se non vogliamo essere cambiati. Immagino che mio nonno Giuseppe fosse spaventato e irritato, quando sentì per la prima volta il rumore del trattore, mentre seminava con l’aratro e buoi. Ma poi capì. I campi restavano. Cambiava solo il modo di coltivarli.