il Giornale, 30 luglio 2023
Come è nato "A sangue freddo" di Truman Capote
N el 1959, Truman Capote, scrittore di fama, autore di Colazione da Tiffany, legge un trafiletto di cronaca nera sul New York Times. La notizia: la famiglia Clutter, residente a Holcomb, nelle campagne del Kansas, è stata trucidata da uno o più sconosciuti. Muoiono il padre Herb, la madre Bonnie e due figli adolescenti, Kenyon e Nancy. Il movente è il furto ma i colpevoli non sono normali ladruncoli. Sono psicopatici. I Clutter sono stati sterminati a fucilate. In particolare, Herb è stato sgozzato e finito con un proiettile in testa. Capote intravede un potenziale nella storia e parte per Holcomb dopo aver preso accordi con il New Yorker per la pubblicazione di un reportage a puntate. Lo scrittore parte, e comincia a fare domande in giro. Si scontra subito con la diffidenza dei cittadini di Holcomb per i quali è soltanto un piccolo ficcanaso dalla voce stridula. Per fortuna, il previdente Truman ha portato con sé un’amica, e che amica, Harper Lee. Con lei, è più facile rompere il ghiaccio. Capote diventa amico e confidente di Alvin Dewey, il detective incaricato di risolvere il caso. Capote diventa amico e confidente, in carcere, dei due balordi assicurati alla giustizia, soprattutto di Perry Smith, il capo della piccola banda. Capote si rivede in Perry: figlio della provincia, abbandonato dai genitori, cresciuto con una certa comprensione dell’arte e della letteratura. Capote sfugge a un destino segnato grazie al suo talento nello scrivere. Perry invece finisce come la sorte sembrava aver già deciso per lui, e diventa uno scapestrato malvivente, di piccolo cabotaggio ma all’occorrenza spietato e spesso preda di attacchi di ira incontrollabile. Capote segue il processo. Attende con ansia la sentenza (condanna a morte) perché ha promesso di procedere con la pubblicazione solo a vicenda totalmente conclusa. Lo scrittore si sente in colpa perché desidera che l’esecuzione abbia luogo senza rinvio. Assiste nel 1965 alla impiccagione dei colpevoli e pubblica la prima parte di A sangue freddo sul New Yorker. Il volume intero esce nel 1966. Il successo trasforma il già noto Capote in una star mondiale. I ricconi di mezzo mondo, Agnelli inclusi, se lo contendono. Vi sono due facce per ogni medaglia, dice il proverbio. Capote, lo scrittore, sperimenta la vita inebriante della jet society. Truman, l’uomo, va in mille pezzi. La sua fortuna nasce dalla morte di un amico, Perry. Già, un amico, per quanto fosse un assassino. Truman non riesce a non pensarci senza cadere in depressione. Capote raggiunge l’apice dello splendore con il ballo in maschera al Plaza Hotel, il «Ballo in Bianco e Nero». È la festa per la pubblicazione dell’ultima puntata. Per Truman gli anni seguenti sono una lenta discesa nell’inferno dell’alcol e della droga. Capote, ormai esaurito, si lascia morire nel 1984 a Bel Air, ospite della amica Joanne Carson. Aveva 59 anni. A sangue freddo, oggi un classico, inventa il true crime e la non fiction. In pratica, si prende una storia vera, meglio se truculenta, e si racconta con uno stile che pesca, in egual misura, nella letteratura e nel reportage. Sembra facile, detta così. In realtà, A sangue freddo dà vita soprattutto a brutte copie, che escono disintegrate dal confronto con l’originale. La differenza tra A sangue freddo e i suoi indegni figli si può oggi spiegare meglio grazie a un’eccezionale pubblicazione delle parigine Éditions des saints péres. Il volume, a tiratura limitata, riproduce perfettamente il manoscritto più completo di A sangue freddo e un insieme di appunti che ha accompagnato Capote dal 1959 fino al processo. Il materiale, 390 pagine, proviene dalla Library of Congress di Washington e dalla New York Public Library. È stato scovato tra gli oltre 200 quaderni conservati a Washington e le sei scatole di documenti ancora a New York... Partiamo da A sangue freddo. I lettori di Capote avranno un sussulto fin dalle prime righe, dove assistiamo alla nascita del celebre attacco del libro: «Il paese di Holcomb sta sulle alte pianure di frumento del Kansas occidentale, un’area solitaria che gli altri abitanti del Kansas chiamano laggiù». Nettamente più prosaico l’originale, che traduciamo: «Holcomb è un paese molto ben visibile che sorge sulle alte pianure di frumento del Kansas, dove l’aria è pura come quella della Svizzera e i campi si mostrano incredibilmente vasti e solitari». Non c’è gara. È un dettaglio? No. Capote si dimostra uno scrittore «abbonato» alla lima. La rielaborazione, nelle prime carte, è leggera ma incisiva. I «dettagli» comunque non si contano. Nelle ultime pagine, dove Capote racconta processo ed esecuzione, il manoscritto diventa un campo di battaglia, con gigantesche soppressioni e riscritture. In generale, il segreto è questo: levare, levare, levare. Capote punta all’impersonalità e alla limpidezza. La prima persona è bandita. Le frasi con troppi incisi e troppa punteggiatura finiscono male. Ogni frase deve essere necessaria nella sua raggelante semplicità. Operazione perfettamente riuscita: fu proprio l’assenza dello scrittore a suscitare reazioni polemiche e indignate. Capote rinunciava a commentare e spariva dietro ai tragici fatti: inammissibile per il moralista medio. Il vero spettacolo, però, è offerto dai quaderni di lavoro. Qui viene fuori la metodica indagine condotta dal «detective» Capote. Troviamo pagine pieni di nomi, numeri di telefono, appuntamenti. Poi ci sono le trascrizioni delle testimonianze raccolte personalmente. Quindi uno schema, a grandi linee, di come si deve sviluppare il reportage. Poi c’è l’indagine vera e propria: potete leggere, in queste stesse pagine, i primi dubbi di Capote. Per aiutarsi, lo scrittore disegna una mappa del paese e la planimetria della fattoria Clutter, su due piani. Sono le illustrazioni di questo articolo. A un certo punto, le note si fanno più rarefatte. Capote ha conosciuto Dewey, che gli passa informazioni di prima mano sull’indagine. Inoltre, i due assassini vengono arrestati. Mancano le trascrizioni degli innumerevoli colloqui in cella con Capote. Durante il processo, Truman riprende gli appunti in mano e disegna le facce dei giurati, del giudice e di Perry. Annota anche il verdetto. Tra gli appunti ci sono note, anche piuttosto estese, nelle quali è facile riconoscere momenti salienti del libro. Ad esempio, c’è la scena in cui un investigatore, sulla macchina di Alvin Dewey insieme con i prigionieri, chiede a Perry e al complice Dick Hickock quanto abbia fruttato la strage. Risposta di Hickock: «Tra i quaranta e i cinquanta dollari». Fanno meno di dieci dollari a vita strappata ai Clutter a colpi di fucile. Altrove, Capote riflette sui volti dei due assassini. Dick è un vero freak e fa paura. Perry è meno impressionante perché ha qualcosa di «femminile, in verità molto femminile». Capote: «Il volto di Hickock ti abbassa la temperatura a zero. Con Perry rimane circa 20 gradi sopra». Il carattere di Perry è estremamente complesso. Presto Capote scoprirà come Perry ha ucciso Kenyon Clutter, un ragazzino. Prima ha preso un cuscino con delicatezza per fargli appoggiare bene la testa. Però non ha esitato a fargliela saltare in aria. La violenza, negli appunti, è esplicita. Così è descritta la stanza dove è morta Nancy, sedicenne: «L’esplosione che la ha ammazzata aveva schizzato il muro con sangue, grumi di capelli e tessuto cerebrale. Più si strofinava per pulire, più le macchie si estendevano». Il passo è tagliato nella versione definitiva. Less is more, meno è meglio.