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 2023  luglio 30 Domenica calendario

Biografia di Constance Markievicz

In una delle sue tragedie più note, Cathleen Nì Houlihan, messa in scena per la prima volta a Dublino nel 1902, William Butler Yeats immaginò la redenzione dell’Irlanda per mano di una donna. La contessa Cathleen, personificazione allegorica della nazione irlandese, divenne una sorta di manifesto patriottico di un movimento di liberazione che proprio in quegli anni stava trovando nuova linfa vitale attraverso la riscoperta dell’antica cultura gaelica. Di lì a poco una donna in carne e ossa si sarebbe immedesimata in quei panni: Constance Markievicz, la contessa che si trasformò in militante politica, la pittrice che divenne uno dei capi dell’Insurrezione di Dublino del 1916. Lo stesso Yeats la definì «un uccello nutrito dalla roccia, condotto dal mare», mentre un altro grande poeta, il britannico Cecil Day Lewis, la paragonò invece a un’aquila. Constance Gore-Booth (che poi prese il cognome del marito polacco, il conte Markievicz) fu il paradigma perfetto di quell’epoca. Più volte carcerata dagli inglesi, le toccò in sorte di essere la prima donna eletta nel parlamento di una democrazia europea anche se poi, tenendo fede alla linea astensionista dei repubblicani irlandesi, si rifiutò di prestare giuramento di fedeltà alla Corona e non occupò mai il suo seggio. La sua giovinezza aveva coinciso con la rinascita della cultura irlandese e celtica, “l’uscita dalle tenebre” dell’oppressione coloniale da cui nacquero i movimenti dell’Irish Revival e della Celtic Twilight, istanze culturali tenute a battesimo da figure dell’aristocrazia anglo-irlandese come Alicia Wilde (la madre di Oscar), Douglas Hyde, Lady Augusta Gregory, Maud Gonne e lo stesso Yeats. Avvicinatasi per la prima volta alla causa suffragista alla fine del XIX secolo, Markievicz sarebbe diventata in poco tempo la figura femminile centrale dell’irredentismo irlandese. Dopo la resa dei ribelli del 1916 gli inglesi la condannarono a morte ma la sentenza venne quasi subito commutata in carcere a vita. Venne rinchiusa nel penitenziario dublinese di Kilmainham, la “Bastiglia d’Irlanda”, dove sentì l’esecuzione dei suoi compagni, i capi della rivolta. «In quei giorni – scrisse ancora Day Lewis – morì un poco per non aver condiviso la loro sorte». Ma l’anno dopo tornò in libertà beneficiando di un’amnistia e si convertì al cattolicesimo. Anche in seguito continuò a sfidare le autorità britanniche svolgendo un’attività politica sempre più pericolosa che la riportò in carcere più volte. Ma non si dette mai per vinta. La sua è una parabola quasi leggendaria che avrebbe dato un contributo teorico decisivo allo sviluppo della moderna nazione irlandese, come si evince in Scritti politici. Verso un’Irlanda unita e gaelica (traduzione di Lucia Salaris, Angelica editore, pagine 288, euro 20,00), una raccolta che propone per la prima volta in italiano i testi più significativi della sua produzione letteraria. Il volume, curato da Loredana Salis dell’Università di Sassari, contiene una selezione ragionata di scritti e lettere dal carcere che testimoniano l’evoluzione del pensiero di Markievicz ripercorrendo le tappe decisive del percorso verso l’autodeterminazione del popolo irlandese. Non a caso Declan Kiberd, uno dei massimi studiosi viventi della letteratura irlandese, le ha definite «esempi di una autobiografia del sé che diventa autobiografia della nazione».
Sopravvissuta al carcere, alla corte marziale, allo sciopero della fame e alle persecuzioni delle milizie irregolari britanniche, Markievicz è anche la rivoluzionaria inflessibile che durante l’orazione funebre di due compagni uccisi invoca inaspettatamente il perdono per il nemico usando le parole di Cristo («Perdonali perché non sanno quel che fanno»). È la ricca figlia dell’aristocrazia che adotta le idee repubblicane e socialiste di James Connolly cercando di recuperare il cooperativismo della tradizione gaelica. E, quando il suo Paese viene artificialmente diviso in due parti, afferma profeticamente che la divisione sarà causa di nuovi conflitti («Dio ha creato l’Irlanda come isola, i suoi confini possono solo essere quelli del mare»). Infine, l’evoluzione del suo pensiero la porterà persino a tentare di conciliare due visioni apparentemente opposte della questione operaia, quella socialista e quella cattolica, trovando punti di contatto tra le teorie politiche di Connolly e l’enciclica Rerum Novarum di papa Leone XIII. Pur risalenti a oltre un secolo fa, gli scritti di Markievicz parlano molto al nostro presente, denunciando ad esempio lo sfruttamento del lavoro su scala globale e le storture del liberismo. Ci raccontano una donna nata inglese e divenuta irlandese per scelta che individuò con grande lucidità le cause della soggezione del suo Paese. E si batté per costruire un’Irlanda libera e gaelica e una società che garantisse «il maggior bene possibile per il maggior numero di cittadini»