il Giornale, 29 luglio 2023
Biografia di Anna Magnani
«Figlia di Marina e de quer fijo de ’na mignotta...» scherzava l’Anna dei momenti migliori, con la sua tipica voce roca e bassa, ricordando i suoi natali a Roma il 7 marzo 1908; il padre sconosciuto, la madre diciottenne nubile scappata in Egitto per lo scandalo e lei allevata dalla nonna e da cinque zie. La stessa attrice romana che Federico Fellini, in persona e con la sua voce, nello strabiliante Roma, presentava come «il simbolo della città». Anna Magnani rispondeva sorniona come i gatti che amava: «Che so’ io?». E Fellini: «Una Roma vista come lupa e vestale...». «De che?». «Aristocratica e stracciona, tetra, buffonesca... Potrei continuare fino a domattina». L’attrice lo interrompe: «A Federi’, va’ a dormi’, va’!». Ecco colta l’essenza di un vero mito che ci ha lasciato il 26 settembre di cinquant’anni fa dopo una carriera segnata da una delle sequenze più famose dell’intera storia del cinema, quella in cui Pina, in Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini, viene abbattuta, letteralmente, dai nazisti con una raffica di mitra mentre rincorre il camion su cui è stato appena caricato il suo uomo. Una sequenza girata più volte, per via dei due punti di vista, che aveva provocato a Anna Magnani anche delle ferite per il trasporto con cui si era gettata a terra colpita. Pochi sanno, e la fondamentale biografia, ora ampliata, Tutto su Anna – La spettacolare vita della Magnani di Patrizia Carrano (Vallecchi) lo racconta, che fu lo sceneggiatore Sergio Amidei a proporre quella dinamica a Rossellini dopo che sul set aveva visto l’attrice correre dietro l’auto del marito Massimo Serato. Erano peraltro le ore in cui al loro figlio veniva diagnosticata la poliomelite. E Dio solo sa quanto lei amasse il suo Luca: «Qualunque cosa si dica, la Magnani finisce sempre col parlare di suo figlio; qualunque cosa faccia finisce col ricordare suo figlio. Egli è il metro di misura della sua vita, la condizione della sua vita, lo scopo della sua vita. La Magnani fa un film? Vuol dire che le servono soldi pel figlio. Non lo fa? Vuol dire che resta vicino a suo figlio» scriveva Oriana Fallaci. «L’amore per i figli è perpetuo, l’amore per gli uomini che ci portano a letto finisce». Sul set Rossellini andò incontro ad Anna per aiutarla a rimettersi in piedi: «Ce la fai a farne un’altra?». «Sì, nun te preoccupà. Vuol dire che stasera zomperò un po’ meno a teatro». Tra i due scoppiò l’amore ma, come ricorda Patrizia Carrano, i litigi fra loro erano all’ordine del giorno: «In due ore di Anna c’è tutto: l’estate, l’inverno, la tenerezza, la sfuriata, la gelosia, il litigio, la rottura, l’addio, le lacrime, il pentimento, il perdono, l’estasi, e poi di nuovo il sospetto, la rabbia, gli schiaffi...» aveva confidato Rossellini a Montanelli. Anna Magnani aveva già recitato a teatro in alcuni spettacoli divenuti leggendari con Totò oltre a essere già Nannarella ossia «la regina di quella città sopravvissuta quasi indenne alla guerra, era l’immagine d’uno spirito spavaldo, monellesco, furioso, irridente, era tutt’uno con il cinismo e il risentimento, il menefreghismo e lo slancio, l’irriducibilità e la vigliaccheria, la burbanza e l’affetto di quella gente». Ecco l’esplosione di cinema, nel 1946 accanto a Amedeo Nazzari nel fosco Il bandito di Alberto Lattuada, poi fruttivendola arricchita accanto a Vittorio De Sica in Abbasso la ricchezza! di Gennaro Righelli. Nel ’48 L’amore ancora con Rossellini, con lo strepitoso episodio dal monologo teatrale La voix humaine di Jean Cocteau, segna però la fine del loro connubio vedi il caso dei titoli? perché il regista si era già innamorato di Ingrid Bergman che prese subito nel film Stromboli Terra di Dio (1950) inaugurando la cosiddetta guerra dei vulcani con Anna Magnani protagonista del meno memorabile Vulcano (1950) di William Dieterle. Chissà come s’era sentita a scoprire sulle copertine di tutti i rotocalchi la storia d’amore tra Rossellini e Bergman. Perché, come scrive Fellini nella prefazione della biografia, era «la prima a non credere al suo personaggio pubblico, fatto di esuberanza, di estroversione, aggressività, dietro il quale, anzi, si nascondeva». Non fa in tempo a partecipare all’anteprima romana di Vulcano, uscito di corsa prima di Stromboli, che la mattina dopo tutti i giornali non parlano di lei ma del parto anticipato di Ingrid Bergman e del figlio di Rossellini. Meglio andare a Hollywood, si sarà detta. Eccola accanto a Burt Lancaster in La Rosa tatuata di Daniel Mann che la consacrò definitivamente, con l’Oscar (prima attrice in lingua non inglese), a livello internazionale. Tutto questo con la sua tipica naturalezza. D’altro canto, a Roma, a notte inoltrata veniva paparazzata con il bicchiere della staffa in mano da Rosati in via Veneto con l’immenso Tennessee Williams, di cui portò al cinema un altro dramma, Pelle di serpente di Sidney Lumet accanto a Marlon Brando. E poi Bellissima di Visconti, La carrozza d’oro di Renoir ma, soprattutto, la scommessa nel 1962 della popolana di Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini che le dedicò questi versi: «Quasi un emblema, ormai, l’urlo della Magnani / sotto le ciocche disordinatamente assolute / risuona nelle disperate panoramiche / e nelle occhiate vive e mute / si addensa il senso della tragedia / È lì che si dissolve e si mutila / il presente, e assorda il canto degli aedi». In realtà è l’ultima grande interpretazione di un’attrice che non lascia eredi: «La vera erede della Magnani – conclude Patrizia Carrano – è la Magnani stessa. Ha denudato le nostre passioni, le ha tramutate in materia viva e palpitante. Anna ci parla ancora. E continuerà a farlo». Come con quel folgorante «Nun me fido. Buonanotte!» con cui, in Roma, ultima interpretazione del 1972, si congeda da tutto, da Federico Fellini, dal cinema, dal pubblico, dalla vita.