il Giornale, 28 luglio 2023
Vermi immortali: vivi dopo 46mila anni
La scoperta è di quelle che fanno sognare i registi di fantascienza e stuzzicano la mente dell’intera comunità scientifica. Una famigliola di vermicelli rispunta dal passato. Ma passato passato. Rimane intrappolata nei ghiacci della Siberia 46mila anni fa e ora si è risvegliata. Per capirsi: 46mila anni fa significa che l’homo sapiens ha da poco fatto «un salto di civiltà», crea gli abiti con le pelli degli animali, seppellisce i morti, impara a cacciare in un modo un po’ più evoluto rispetto a sassi e bastoni. E mentre l’evoluzione da quel momento fa passi da gigante, loro, i vermicelli se ne stanno lì, pseudo morti. Ma ora che gli scienziati li hanno scongelati, si muovono. «Un po’ disidratati ma eterni». La notizia probabilmente farà il giro dei social banalizzata da post ritornello del tipo: «Visto? I vermi non muoiono mai» con nomi di ex fidanzati taggati e via dicendo. Ma nei laboratori la notizia dei vermicelli crea parecchio fermento. In altre parole, conoscendo il segreto che ha consentito a questi vermi di sopravvivere a temperature estreme, si potrebbe provare ad applicarlo agli esseri umani. Questo potrebbe regalare qualche speranza, per esempio, a chi ha una malattia incurabile: «mettendo in pausa» la malattia, infatti, si potrebbe sperare che, nel frattempo, venga sviluppata una cura. I vermetti sono minuscoli, appartengono a una specie finora sconosciuta ma nascondono uno dei segreti più affascinanti: la sopravvivenza. Perchè no, chiamiamola pure eterna. L’analisi del loro Dna dice che il lungo sonno che ha avvolto i vermi è una specie di letargo chiamato criptobiosi, presente anche nel vermetto più studiato dai genetisti, Caenorhabditis elegans, che è in grado di bloccare tutti i processi metabolici per adattare l’organismo a particolari situazioni di emergenza. La scoperta, pubblicata sulla rivista Plos Genetics da un gruppo guidato dall’Accademia delle Scienze russa, estende di decine di migliaia di anni la criptobiosi più lunga mai segnalata e potrebbe anche permettere di sviluppare migliori strategie di conservazione per gli organismi più vulnerabili. I piccoli vermi addormentati erano già stati estratti nel 2018, ma il presente studio ha permesso anche di datare i depositi ghiacciati nel quale si trovavano, circa 40 metri sotto la superficie del suolo: dal tardo Pleistocene, tra 45.839 e 47.769 anni fa, non si sono mai scongelati. Durante gli esperimenti effettuati in laboratorio, i ricercatori guidati da Anastasia Shatilovich, hanno scoperto che, quando vengono sottoposti a leggera disidratazione, sia il ben noto Caenorhabditis elegans sia la nuova specie Panagrolaimus kolymaensis aumentano la produzione di uno zucchero chiamato trealosio, che probabilmente li aiuta a sopravvivere a essiccazione e congelamento. Gli autori dello studio hanno anche testato le capacità di sopravvivenza delle due specie, scoprendo che la disidratazione prima del congelamento aiuta questi vermi a prepararsi alla criptobiosi, migliorando la loro possibilità di sopravvivere anche a temperature di -80 gradi. Ad esempio, quando le larve di C. elegans sono state sottoposte a questo trattamento, sono sopravvissute per 480 giorni a -80 gradi senza incontrare problemi, come una riduzione dei meccanismi di riproduzione, al loro risveglio.