il Giornale, 28 luglio 2023
Una mostra sulla Szymborska
Nell’estate di cento anni fa, era il 2 luglio, nasceva in Polonia, a Kórnik, Wisawa Szymborska, Premio Nobel per la Letteratura nel 1996 e venerata rock star della poesia del Novecento. «Quando pronuncio la parola futuro/ la prima sillaba va già nel passato. / Quando pronuncio la parola silenzio/ lo distruggo./ Quando pronuncio la parola niente,/ creo qualche cosa che non entra in alcun nulla», scrive ne Le tre parole più strane, inclusa in Attimo (Scheiwiller, 2002), tra le sue raccolte più note e ancora citate (tantissimo su Instagram), nonostante sia morta nel 2012 in quella Cracovia che l’ha vista arrivare ragazzina e trascorrere la maggior parte della sua vita. Apollinea e cristallina nella musicalità diretta dei suoi versi, ironica e indomita nell’attingere al lessico del quotidiano (tra i suoi titoli La cipolla e Scrivere un curriculum, il primo sulla necessità di andare oltre le apparenze, il secondo sulla difficoltà di trovare le parole giuste nella vita), Wisawa Szymborska ha attraversato il Novecento («Sono, ma non devo/ esserlo, una figlia del secolo»). Di lei conosciamo molte cose: che non terminò gli studi per indigenza economica della famiglia, che a Cracovia viene attratta dai circoli attorno a Czesaw Miosz, che la sua prima poesia (titolo: Cerco una parola) fu pubblicata su un quotidiano locale nel ’45 ma che in seguito molti suoi lavori vennero rifiutati perché non possedevano i requisiti socialisti, che aderì al Partito operaio unificato polacco per poi prenderne le distanze fino a diventare una dissidente e a impegnarsi per Solidarnosc, che il Nobel le regala fama ma non le cambia la vita, che è stata una donna che molto ha amato, che ha passato l’ultimo decennio da bestsellerista da migliaia di copie. A lei che quando le chiesero perché scrivesse poesia rispose «Non lo so», a lei che in segreteria telefonica diceva «qui parla una poetessa di Cracovia e dintorni», a lei che fino alla fine ha rifiutato di diventare personaggio e ha continuato a vivere nella sua casa modesta, Genova dedica ora una bella mostra che ci svela qualcosa di inedito: la sua feconda creatività visiva. Wisawa Szymborska. La gioia di scrivere (fino al 3 settembre), a cura di Sergio Maifredi, porta nelle stanze del Museo d’arte contemporanea Villa Croce poesie, opere grafiche, disegni, collage, fotografie in un allestimento scenografico di Michal Jandura che sottolinea il guizzo ironico e la personalità tutt’altro che bigia di Szymborska. Maifredi s’inventa a Genova – quella Zena nella cui università insegnava Polonistica Pietro Marchesani, traduttore dell’opera omnia della poetessa in italiano, quella Zena in cui già nel ’61 l’editore Silva pubblicava poeti polacchi contemporanei una mostra che non parte dalle parole, ma dalle immagini create da Wisawa Szymborska. «Ho voluto prendere sul serio un’arte che Szymborska ha coltivato con passione: quella dei collage», ci ha detto il curatore. Sala dopo sala scopriamo il coloratissimo laboratorio creativo della poetessa fatto di ritagli, illustrazioni, la sua inseparabile scimmietta-pelouche, bigliettini che componeva, mescolando parole a disegni, per regalarli agli amici al termine di una delle tante cene che organizzava. Troviamo in questi collage domestici, ironici e mai banali, gli embrioni di intuizioni poetiche future: sono «collanti di amicizia» e scampoli di vita privata che svelano i meccanismi di associazioni di idee alla base dei suoi versi. In mostra sono esposte anche diverse pagine del taccuino personale che Szymborska usava per annotare parole e temi da cui un giorno sarebbero potute nascere poesie. Vediamo le pagine in una sala che presenta anche alcune lettere, finora inedite in italiano, tra la poetessa e il suo grande amore, lo scrittore polacco Kornel Filipowicz, trovate tra tante le carte che la Fondazione Szymborska di Cracovia sta riordinando. I collage, le opere grafiche che strizzano l’occhio alle avanguardie, le annotazioni sul taccuino e le lettere personali forniscono chiavi originali di interpretazione dell’opera e della personalità della poetessa. L’ironia si rivela un affidabile motore di libere e raffinate associazioni verbali che strutturano i suoi versi. Lo capiamo anche nella sala centrale della mostra dove sono presentate dieci poesie inedite, pubblicate in polacco solo pochi mesi fa e tradotte in italiano per l’occasione. Sono testi degli anni Cinquanta e Sessanta che contengono già in nuce lo spirito della celebre La gioia di scrivere (1967) che dà il titolo a questa riuscita mostra di Genova: «C’è dunque un mondo di cui reggo le sorti indipendenti?/ un tempo che lego con catene di segni?/ Un esistere a mio comando incessante?/ La gioia di scrivere./ Il potere di perpetuare./ La vendetta d’una mano mortale».