La Stampa, 28 luglio 2023
Una premier double face
«Molte cose stanno cambiando attorno a noi. Ma c’è qualcosa che altri non avevano previsto: che il mondo Occidentale è unito e vuole difendere un mondo basato sulle regole, perché in un mondo senza legge internazionale vivremmo nel caos e chiunque ha un potere militare può pensare di invadere il proprio vicino. Non è il mondo in cui vogliamo vivere. Vogliamo vivere in un mondo basato sul rispetto e la libertà».
È la frase con cui Giorgia Meloni ha chiuso il suo intervento dopo l’incontro con lo speaker della Camera Kevin McCarthy, repubblicano. Frase perfetta per solleticare e soddisfare l’ala conservatrice del Congresso Americano, immersa in un patriottismo nutrito dall’idea del riscatto dell’Occidente contro le umiliazioni e le minacce esterne e interne (la cultura war che divide gli Usa). Ma frase perfetta anche per solleticare e soddisfare il democratico Biden – che ha incontrato pochi minuti dopo – Presidente di un Paese in ovvio declino, immerso nella storia del primo conflitto europeo dopo 70 anni, e in ansia per la sfida egemonica scatenata da uno dei Paesi più grandi del mondo, la Cina. Una frase doubleface che meravigliosamente – onore a chi l’ha scritta e se è stata idea della premier onore anche a lei – è anche la perfetta espressione del luogo sulla mappa delle relazioni internazionali in cui si trova in questo momento la premier e l’Italia con lei. Un luogo spendibile a destra come a sinistra, dipende da cosa volete sentire e vedere. Un ipotetico luogo costruito a misura di e su un politico che è un Giano Bifronte: con una collocazione nelle questioni internazionali, e un’altra nella politica nazionale. In modo che le stesse cose risuonino diversamente nelle orecchie di chi le ascolta: a destra quell’Occidente di cui parla evoca una serie di valori, da Vox a Orban. A sinistra evocano invece l’intransigenza neo Atlantica dell’America di Biden.
Anche in Italia è questa la narrazione che vince sull’attuale capo del governo. Parlate con chiunque, ma davvero con chiunque, non solo giornalisti o ambasciatori, e in tutti i luoghi dove la gente si aggrega – al bar come in Bus, o sulla spiaggia – e i cittadini, anche quelli che dicono di non averla votata vi diranno che «però la Meloni è stata brava a comportarsi bene all’estero, perché ha cambiato posizione e così ci ha tenuto dentro l’Europa». Ed è vero. Ma questa non è la soluzione, bensì solo l’inizio del problema – perché ebbene si, «Houston abbiamo un problema», ed è meglio dirselo.
Facciamoci solo un paio di domande. La prima: davvero le nazioni che la Meloni sembra aver espugnato nel suo infaticabile tour internazionale, considerano il posizionamento della nostra premier così rilevante e così essenziale? La seconda è conseguenza della prima: in ogni caso, la Meloni può tenere a lungo questa posizione di equilibrio?
La risposta corretta a entrambe è «sì, ma solo fino a un certo punto». Ed è nell’evoluzione della guerra – l’elemento definitorio di questa fase nel mondo – che occorre tornare per avere almeno parte delle spiegazioni.
L’Europa, a dispetto delle molte chiacchiere, non ha sostenuto militarmente più di tanto l’Ucraina. Invii di truppe zero, e aiuto in armi scarso ed episodico, nonostante le molte promesse. Questo è vero anche per i governi che più si sono “svenati” per gli aiuti militari. Ricordiamo qui che la “controffensiva” Ucraina, riannunciata ogni due giorni, va a rilento, al punto da far parlare molti esperti di “fallimento di fatto”; un punto decisivo di debolezza, sempre secondo analisti militari, è la mancanza di totale copertura aerea, e dei missili a lunga gittata Himars promessi dagli Usa e mai materializzatisi in Ucraina. L’Europa ha sostenuto (in posti più, in altri meno, secondo la pubblica opinione dei vari Paesi) la guerra politicamente, a livello di governi nazionali e Europeo. Ma non ha avuto e per ora non ha alcun ruolo militare. Una situazione irregolare, che in qualche modo ha strappato la tenuta politica dell’Europa, con i cittadini messi di fronte allo stesso momento al dovere come soggetti di fare serie scelte etiche, ma poi soggetti passivi della pressione economica scatenata dal conflitto.
Una situazione in equilibrio, col fiato sospeso, su cui ha impattato una ulteriore svolta della guerra. La rivolta contro Putin di Prigozhin, il capo della milizia Wagner,ha rivelato per la prima volta una debolezza di leader russo e del suo intero sistema. Innescando il timore in Occidente di una discesa lenta del potere a Mosca, che potrebbe portare a scenari catastrofici. In altre parole: la guerra interna alla Russia è diventato un fattore rischio più grave di quello della stessa guerra.
Non c’è infatti nulla di più pericoloso, perché imprevedibile, del caos strisciante in cui si scioglie un potente regime. Usa e Ue, estremamente allarmati, hanno avviato una stretta ancora maggiore sui “doveri” europei. Se finora i governi potevano mantenere schemi di gioco nazionali, la richiesta che arriva dalle nuove condizioni è una stretta obbligata: è il momento di tenere tutto fermo, stabilizzare tutti i governi nazionali, perché qualunque crisi, per qualunque ragione, potrebbe impattare sull’equilibrio complessivo dell’Europa. Un segnale simbolicamente e praticamente dato con la riconferma di Jens Stoltenberg al suo terzo mandato.
La stabilizzazione del quadro generale è suggerita poi anche dal concorso di due rilevanti elezioni nel 2024: le Europee in giugno e le americane in novembre. In entrambe si giocano gli equilibri attuali: in Usa c’è la possibile riproposizione di Biden vs Trump, in Europa è sul filo del rasoio, l’alleanza attualmente al potere sull’asse socialisti/Ppe, in favore di un’alleanza Ppe/ Conservatori. La campagna elettorale è già aperta: e si vede in molte scelte.
Dopo dieci mesi arriva finalmente da Washington l’invito tanto atteso per la premier italiano, quella stessa premier di cui è diventata improvvisamente grande amica Ursula Von der Leyen, dopo mesi di freddezza.
Pare a noi che più di un successo dell’Italia si tratti della campagna elettorale occidentale globale. Per capire quello che sta succedendo nelle relazioni internazionali in queste settimane, occorre guardarle non dal punto di vista nostro, ma da quello dell’interesse dei governi che più hanno peso in Occidente: i governi guida stanno sfoggiando inusuali premure nei confronti di alleati di cui vogliono assicurarsi il consenso e il voto.
In questo senso siamo importanti, come Italia e come Meloni. Lo siamo, sì, ma non per quel che facciamo ma per l’allineamento che assicuriamo. Non è poco, ma non è il trionfo di cui si narra. E lo vedremo se lo schema cambia: se la coalizione in Europa non cambia, la vincente Von der Leyen si accontenterà della lealtà attuale della Meloni? E se Biden perde, i nuovi poteri di Washington dimenticheranno la lealtà a lui di Meloni? O non si aprirà piuttosto, con un cambio di schema, anche la richiesta di smettere il Gioco di Giano Bifronte, e scegliere dove stare? Possiamo immaginare passaggi molto seri – sottoscrivere e pagare per una nuova difesa europea, rompere davvero i rapporti con i tipi alla Orban e alla Vox.
Insomma essere doubleface è una bella invenzione politica ma è un atto di equilibrismo, che può valere, come ora, in situazioni di transizione, ma non in condizioni di vera e piena gestione di un Paese. —