La Stampa, 27 luglio 2023
Intervista a Michael Phelps
Ci ha messo degli anni, ma Michael Phelps, oggi sa mostrarsi campione anche fuori dall’acqua. A lungo lo abbiamo visto trasformarsi, diventare supersonico al momento di ogni tuffo, poi riemergere disorientato. Adesso guarda il nuoto viaggiare sempre più veloce e nelle sue parole, nei gesti, negli occhi che brillano per quello che vede nella piscina di Fukuoka c’è tutta la sua straordinarietà. Portata sulla terra. Ha iniziato a vincere medaglie mondiali in questa città, nel 2001, ora ci torna da commentatore per la Nbc e brand Ambassador Omega: «È incredibile vedere quanto sta crescendo il mio sport, quando io ero bambino era una sfida Australia contro Usa, oggi si vedono tantissime nazioni sul podio».
L’Italia sta diventando una potenza del nuoto?
«Sta ai piani alti e di sicuro ha un campione, ho incontrato Thomas (Ceccon) dopo la 4x100».
Lui ha detto che non si laverà più la mano dopo che lei gliela ha stretta.
«Mi sa che capiterà altre volte. L’ho visto nuotare i 100 dorso in semifinale e poi tuffarsi di nuovo nei 50 delfino che ha vinto. Quel tipo di sforzo ravvicinato che conosco bene, richiede del coraggio. Mi eccita vedere gente che si butta una gara dopo l’altra senza avere il tempo di recuperare. Se lo fai significa che hai una certa mentalità e il gusto per la sfida. Vuol dire che sposti il senso del limite. Per gli altri non si può fare e tu semplicemente sai come riuscirci. Ho vissuto di questo per la mia intera carriera».
Che cosa ha capito di Ceccon guardandolo in quelle due gare ravvicinate?
«Uno: è in buona forma perché se no una cosa così non la fai. Due: gli piace gareggiare e tre è uno che si diverte a farlo. Mi fa felice vedere uno che interpreta così lo sport che amo».
È cresciuto guardando i video delle sue gare. Li conosce a memoria, vasca per vasca.
«Dare delle motivazioni è straordinario. Cose così mi emozionano e mi fanno sentire speciale».
Lei ha vinto 23 ori alle Olimpiadi, 8 in una singola edizione: è speciale. Non si è sempre sentito così?
«No. Ho sempre avuto grandi ambizioni, la voglia di raggiungerle mi ha portato a lavorare ogni giorno per obiettivi che dichiaravo per renderli ancora più veri. Ma non era scienza missilistica, era allenamento: quando ero preparato succedeva tutto di conseguenza. Nell’unica occasione in cui sono arrivato senza aver lavorato come dovevo, ai Giochi di Londra 2012, è andata male».
Male con quattro ori e due argenti.
«Male perché non ero io e non mi sono divertito. Non mi sono appassionato: non sono salito sul podio dei 400 misti e avevo il record del mondo e di tutto quello che è arrivato non mi sono goduto nulla».
Per questo dopo il primo ritiro, subito dopo Londra, ha deciso di rientrare?
«Ho scoperto che ero fisicamente preparato e mentalmente distrutto. Sono sempre stato sulle montagne russe, quotidianamente: il mio corpo era pronto per viverle, la mia testa, alla lunga, no. Nel 2016 ho passato più di un mese in un centro, per rimettermi in sesto. Ed è stato un periodo semplice, ne sono uscito sereno, per questo incoraggio i professionisti a trovare l’aiuto di cui hanno bisogno».
Il suo primato dei 400 misti, il più longevo della storia del nuoto, è venuto giù all’inizio dei Mondiali. Consigli a Federica Pellegrini per smaltire il record appena caduto?
«Si metta comoda, io mi ci sono abituato, ne ho visti parecchi sparire. Me lo ricordo quel 200 stile di Federica a Roma, l’ho visto dal vivo, è stato incredibile. Ormai lo avrete capito, sono un fissato, mi piace vedere la tecnica di ognuno, i dettagli che definiscono, i tratti distintivi».
Quali erano quelli di Pellegrini?
«Non moriva mai. Ma proprio mai: nella sua gara, i 200, c’è un momento in cui chiunque si stanca, poi resiste, lotta, recupera, ma il cedimento c’è, si vede. Con lei no, non negli anni in cui era al top. E poi io adoro chi sa andarsi a prendere il risultato o il cronometro negli ultimi metri, si chiama spettacolo. So bene come nuotava perché al tempo dividevo la piscina con Allison Schmitt, che ha vinto i 200 ai Giochi di Londra. E ne abbiamo parlato fino allo sfinimento».
I record persi si dimenticano?
«Avessi potuto, questo dei 400 misti me lo sarei tenuto, è stato mio per quasi 22 anni, ci ero affezionato. Ma credo che chiunque abbia vissuto di nuoto e ami guardarlo si senta trascinato dal livello che hanno raggiunto oggi».
Ledecky qui probabilmente batterà anche il suo record di ori individuali ai Mondiali, al momento sono 15 per entrambi. Perché non è considerata quanto lei?
«Ledecky è la più grande nuotatrice che ci sia mai stata sul pianeta, si è cimentata su qualsiasi distanza e lei lo fa per se stessa, perché ci sta bene. Non si guarda intorno, non racconta che cosa andrà a fare, nuota perché questo le interessa e forse non ha bisogno di pubblicità».
Scusi, non sarà che non ha la sua popolarità nonostante gli stessi successi perché è una donna?
«Non credo sia una questione di uomo o donna. È sempre complicato fare paragoni. La gente si chiedeva se fossi più o meno forte di Mark Spitz, uno che aveva fatto cose incredibili. Io non volevo essere il nuovo Spitz, volevo essere riconosciuto e ricordato come Phelps».
Ci è riuscito. Sta dicendo che Ledecky non si scrolla via il paragone con lei?
«Sto dicendo che a lei non interessa. Fa quello che le piace e non si chiede se è più o meno famosa di me».
I blocchi Omega di ultima generazione contribuiscono ai cronometri che stiamo vedendo?
«Se li sfrutti al meglio e scegli l’angolo giusto di partenza sono un trucco in più che io non avevo e danno immediatamente il tempo di reazione, un fattore sempre molto intrigante».
Quanto tempo ci ha messo a stare bene fuori dall’acqua?
«Ci sto ancora lavorando, però non sono più la persona che ero quando gareggiavo. In parte è perché ho tre figli, mi hanno rilassato, mi chiamano Aquaman, che ridere. Per stare come mi sento oggi ho dovuto prima imparare a prendermi cura di me. È stato fondamentale il tempo tra il primo e il secondo, definitivo, ritiro. Quando ho smesso e ho ripreso mi sono ritrovato a nuotare otto secondi sotto i miei standard. Ho chiesto a Bob Bowman, il mio tecnico: “Coach, che cosa stiamo facendo qui? “. Lui mi ha solo detto “credi in quello che stiamo facendo”. È una frase che mi sono tenuto».
Il suo tecnico oggi allena Marchand che le ha rubato il record. Non è mai geloso?
«Come potrei? Lo vedo lavorare, mi ci rivedo. No, io ho avuto tutto. E sono felice di non nuotare adesso, non lo vorrei come rivale».
Lei ha avuto rivali piuttosto forti. Il più tosto?
«Ryan Lochte, ci sfidavamo in ogni singolo meeting, di continuo. Sempre a spingere. Ancora ci scriviamo riguardo a certe gare tirate. Poi parliamo dei figli, non siamo più quelli là».