La Stampa, 27 luglio 2023
Intervista a Paolo Genovese
Il sogno di ogni regista è realizzare almeno un film che resti nell’immaginario comune. È successo a Paolo Genovese, autore e regista di quel Perfetti Sconosciuti che usciva 7 anni fa al cinema e nel frattempo è entrato nel Guinness dei Primati come film con più remake al mondo. «Siamo arrivati a quota 32, l’ultimo è stato realizzato in Thailandia, fatico ancora a crederci», dice a La Stampa il regista, che ha in arrivo il nuovo romanzo per Einaudi Tre giorni, tre mesi, tre ore e la nuova serie I Leoni di Sicilia su Disney +. Nel frattempo si divide tra festival del cinema: chiuso pochi giorni fa il suo Umbria Cinema, oggi è ospite di Marateale – Premio Internazionale Basilicata. «A Maratea ho fatto l’incontro più memorabile della mia vita: ho cenato con John Landis, regista del mio film preferito The Blues Brothers. Ricordo ancora i suoi gustosi aneddoti su John Belushi».
A proposito di Hollywood, l’idea del remake americano di Perfetti Sconosciuti è ancora nell’aria?
«C’è, siamo in discussione per capire se lo dirigerò o meno io, deve ancora partire la macchina produttiva. Per ora ce l’ha Spyglass Entertainment, vedremo».
Gli altri remake li ha visti?
«Non tutti. Un remake è sempre una storpiatura del mio film, per quanto fedele possa essere. Fa piacere la diffusione dell’idea, meno vederne la realizzazione, anche se quello francese (Le Jeu di Fred Cavayè) non era male».
Di quale film firmerebbe lei il remake?
«Non di un film cult che abbiamo tutti amato, sicuramente lo farei peggio e non ci metterei neanche. In generale da autore non nutro grande amore per i remake, i sequel e i prequel: preferisco le idee originali».
Sostiene gli autori in sciopero negli Stati Uniti?
«Assolutamente sì, fanno rivendicazioni sacrosante. Apprezzo molto il rigore del loro sciopero e la compattezza della categoria. In Italia manca la figura dello “sceneggiatore puro” che c’è in America: bisognerebbe rischiare, investire, fare vivai di scrittura, mettere talenti a scrivere al di là dei tempi folli della serie del momento in uscita. Andrebbe valorizzato molto di più il ruolo dell’autore: il cuore di un film è la sua storia».
Che cosa possono fare oggi gli autori per il cinema italiano?
«È un momento di difficoltà per il nostro cinema inteso come sala, ognuno di noi può dare un suo contributo: noi autori dobbiamo meritarci il pubblico e fare divulgazione. Gli incontri con il pubblico sono fondamentali per far capire quanto tempo, lavoro e passione ci sono dietro un film da parte di chi lo fa o lo scrive».
Il suo nome figura tra le firme a sostegno della protesta degli studenti del Centro Sperimentale.
«Ho messo la mia firma perché il Centro è un’eccellenza italiana che ha partorito alcuni tra i migliori registi, attori, sceneggiatori del nostro Paese».
Come si regola nella scrittura tra romanzi, sceneggiature e film?
«Tutto si mischia, ogni idea diventa un soggetto cinematografico, poi magari mi prende di scrivere e si trasforma in una narrazione più romanzesca, oppure penso alle scene e diventa una sceneggiatura. Scrivere un romanzo mi costringe a girarmi già un film in testa, ho solo le parole per raccontare tutti i dettagli, non ho immagini, luci, suoni, attori. Lo sforzo narrativo è notevole, ma anche la libertà di poter viaggiare fino alla luna e tornare senza problemi di budget. La sceneggiatura, invece, è più un manuale di istruzioni per fare un film».
Ha in arrivo il nuovo romanzo.
«È una storia completamente diversa da quelle che ho fatto, incentrata sulla casualità degli incontri che cambiano il corso di vite intere».
E la serie I Leoni di Sicilia?
«Un progetto corale enorme di cui vado fiero, in cui ho potuto lavorare con la massima libertà e di cui non posso ancora parlare».
Quest’anno ha debuttato con la regia teatrale di Perfetti Sconosciuti, le è venuta voglia di bissare l’esperienza?
«Magari, il teatro mi ha riportato all’entusiasmo degli inizi e mi ha fatto riscoprire un rapporto diretto col pubblico che trasmette un’energia incredibile. Pubblico che è attivo, partecipa, ride, si commuove, sembra seduto assieme ai protagonisti del film che hanno amato».
Perfetti Sconosciuti, appunto: come le ha cambiato la vita quel film?
«Dandomi grande libertà di scelta e fiducia da parte di attori e produttori. I miei film successivi non hanno cavalcato l’onda o ricalcato Perfetti Sconosciuti, eppure ho potuto mettere in scena ogni mia idea, anche la più bislacca, senza problemi».
Che cosa direbbe oggi al Genovese degli inizi?
«Gli darei il consiglio che mi diede Monicelli su un set in cui ero l’ultimo degli assistenti: “Non ti accontentare”. Il nostro non è un lavoro dove sai esattamente quando mettere il punto, lo decidi tu, quando scrivi, quando giri, quando monti un film. Quell’ “Ok, per me va bene” deve essere il massimo che pensi davvero di poter fare». —