La Stampa, 27 luglio 2023
Intervista a Saviano (fatto fuori dalla Rai)
Della cancellazione del suo programma Insider, faccia a faccia con il crimine dai palinsesti Rai, Roberto Saviano ha saputo dai giornali. Non un messaggio, non una telefonata dai vertici: «L’amministratore delegato Roberto Sergio deve essersi vergognato. Posso comprendere, essere un mero esecutore di decisioni politiche può causare un certo disagio».
Un dato rende ancora più assurda la scelta del settimo piano di viale Mazzini: le quattro puntate del format di inchiesta e racconto sulle mafie erano già state ideate e registrate, persino presentate ufficialmente all’interno dell’offerta televisiva della prossima stagione, il 7 luglio, con un video dello scrittore. Poi il dietrofront al culmine di una strategia, dice Saviano, molto precisa: «Il paragone fra me e Filippo Facci lo cavalcano i giornali di destra su esplicito mandato politico».
Secondo la Rai il suo linguaggio sarebbe incompatibile con il Codice etico dell’azienda. Lei sostiene sia un “pretesto”. Perché?
«Ho definito “Ministro della Mala Vita” Matteo Salvini nel 2018, “bastardi” lui, Giorgia Meloni, Luigi Di Maio e Marco Minniti nel 2020. Sono sotto processo con la premier e Salvini (che ha annunciato il bis) e con il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano che ha perso il primo grado di giudizio e ha annunciato ricorso, ma nonostante questo sono stato ospite in Rai decine di volte e ho condotto la prima stagione di Insider. Hanno solo inventato il rispetto di un presunto codice etico».
La sua vicenda è stata paragonata a quella di Filippo Facci, il cui programma è stato cancellato dopo le frasi sessiste contro la ragazza che ha denunciato il figlio di Ignazio La Russa. Quali sono le differenze?
«Filippo Facci ha attaccato una persona inerme per difendere il potere. Io ho attaccato il potere. Il paragone Facci vs. Saviano lo cavalcano i giornali di destra su esplicito mandato politico. Spero che voi giornalisti seri, a questo punto, passerete al vaglio del codice etico tutte le dichiarazioni dubbie di chi oggi in Rai ha trasmissioni televisive ancora non cancellate. Mi sa che resterà solo Rai Yoyo».
C’erano stati segnali prima dell’annuncio?
«È una strategia politica dei media di destra che sono nelle mani di un parlamentare della Lega. Ne parlano da giorni. Alla fine Roberto Sergio ha ceduto, dimostrandosi un mero passacarte perché la decisione è politica e per nulla aziendale. Fosse aziendale dovrebbero epurare mezza Rai in virtù del codice etico, da Bruno Vespa a Nunzia De Girolamo a Luca Barbareschi. Mi sa che l’anno prossimo in studio ci saranno Peppa Pig, la Pimpa e Sponge Bob. Anche se su Sponge Bob ho qualche dubbio».
Ha parlato al telefono con l’amministratore delegato Roberto Sergio? Che cosa le ha detto?
«Ho saputo la decisione della Rai dal mio giornale, Il Corriere della Sera. L’ad Sergio deve essersi vergognato. Posso comprendere, essere un mero esecutore di decisioni politiche può causare un certo disagio».
Cosa avrebbe raccontato questa seconda stagione di Insider?
«Una puntata è su Don Peppe Diana, sacerdote ucciso dal clan dei casalesi nel 1994. Ci sono interviste a collaboratori di giustizia che con le loro dichiarazioni e grazie all’intelligenza degli inquirenti hanno consentito di tracciare rapporti tra criminalità organizzata e politica e tra criminalità organizzata e imprenditoria. Ci sono i giornalisti minacciati, tra loro Rosaria Capacchione ed Enzo Palmesano. Quest’ultimo è stato parte della storia di AN, allontanato nel nuovo corso per il suo impegno antimafia».
Eliminare un programma su questi temi cosa dice sull’impegno professato dalla maggioranza nella lotta contro le mafie?
«Nello stesso giorno Matteo Salvini attacca don Luigi Ciotti e ordina ai suoi scherani in Rai di cancellare “Insider”, è evidente da che parte sta questo governo, no? Cancellare un programma che denuncia le organizzazioni criminali non fa onore a nessuno. Farlo poi seguendo un finto codice etico elaborato per compiacere chi, nel 2015 dichiarava: “Cedo due Mattarella per mezzo Putin”, è un orrore».
In questo clima perché non se n’è andato prima della decisione dell’azienda?
«Questa trasmissione non nasce in questa Rai, ma con la gestione di Carlo Fuortes. Non ho mai subito pressioni da parte di Rosanna Pastore e Felice Cappa, i miei diretti e unici referenti. La trasmissione non è solo di Roberto Saviano, io la conduco ma con me l’hanno scritta e ci hanno lavorato per oltre un anno molte persone. Una redazione composta in prevalenza da donne, coordinata da una donna. Professioniste e professionisti che pagano questa vendetta politica».
Offrirà il progetto a un’altra rete?
«La Rai è proprietaria delle quattro puntate già registrate e a questo punto credo il governo abbia tutto l’interesse a censurare un programma sul potere mafioso».
È la lottizzazione di sempre o nella gestione del governo Meloni c’è qualcosa di diverso?
«La Rai è la Rai, è una istituzione di questo Paese: è rappresentativa dei suoi vizi e delle sue virtù. Esiste da sempre ed esisterà per sempre. I metodi non cambiano mai».
La maggioranza sta allungando le mani anche sui vertici del Centro sperimentale di cinematografia di Roma. C’è un piano più ampio che punta al controllo dell’immaginario?
«Il sacco che stanno facendo di qualsiasi poltrona è l’unico modo che hanno per tenere in piedi il loro potere. La competenza gli è nemica, l’indipendenza li ansia, devono piazzare quindi vassalli. Ed è quello che hanno fatto, stanno facendo e continueranno a fare». –