il Giornale, 27 luglio 2023
Il mito di Nancy Cunard. Poetessa, snob e ribelle
Basta la Lettera, scritta nel gennaio del 1965, alla morte di T.S. Eliot, e riportata in appendice alla raccolta di poesie Parallax (è la prima volta in italiano, grazie all’editore De Piante, pagg. 186, euro 18, a cura di Annalisa Crea), per avere un’istantanea di chi fosse la sua autrice, Nancy Cunard (1896-1965). Una donna per la quale l’abbondanza di aggettivi superlativi non sembra mai troppa: William Carlos Williams la definì «il più grande fenomeno della sua epoca». E non era uomo da sprecare parole.
Siamo a Londra ed è il 1922. C’è una grande festa da ballo, organizzata a casa di Lady Cunard, ovvero Maud, la madre di Nancy – che viene così descritta: «L’anfitriona, piccola megera, tutta scintillava/ Era brillante, lei, in queste cose». Si capisce come fra Maud, nata Burke, e che poi tramuterà il suo nome di battesimo in Emerald, per la sua aspirazione a brillare più delle pietre preziose, e Nancy, la figlia allora ventiseienne, non scorra buon sangue (blu): Maud è un’ereditiera americana sbarcata nella vecchia Inghilterra per accaparrarsi un titolo, e lo trova nella persona di Bache Cunard, baronetto e discendente della dinastia dei costruttori di transatlantici benedetta dalla Regina Vittoria; ma a Bache interessa solo passare il tempo nella sua immensa tenuta nel Leicestershire, Nevill Holt, mentre Maud vuole conquistare il bel mondo dell’élite britannica (cioè mondiale), e quindi vuole stare a Londra, e attirare nelle sue stanze politici, aristocratici, intellettuali, scrittori e artisti del massimo livello. Cosa che, negli anni, le riesce in modo magistrale, perché nel suo salotto capitano George Moore (amante di una vita), Ezra Pound, Somerset Maugham, James Joyce, e poi i Balfour, gli Asquits, i Windsor... Il tutto a spese del suo matrimonio e del rapporto con la figlia: tanto Nancy ama Nevill Holt, il padre e la campagna inglese, quanto odia la madre e l’alta società. Infatti, per tornare a quella festa del 1922, Maud ha dato il meglio di sé, quanto a capacità organizzative, invitando il Principe di Galles, il futuro Edoardo VIII; e Nancy ha ballato con lui, «così garbato, dal viso soave» (come dire: insulso...), anche perché si vocifera che i due possano fidanzarsi. Ma chi mai aspirerebbe a sposare il primogenito del Re e a salire, un giorno, sul trono d’Inghilterra? Non certo Nancy Cunard, la quale, dopo aver danzato a lungo col Principe, finisce così: «Annoiata ero io».
A Nancy Cunard, però, il destino non ha mai fatto mancare nulla, né in positivo, né in negativo: anzi, ha sempre un po’ esagerato... E infatti, dopo aver liquidato il Principe, ecco che vede apparire T.S. Eliot: «Fu allora; entrasti, Eliot, anche tu solo, per la prima volta davanti ai miei occhi» ed è così che il cuore di Nancy comincia a battere, per quel poeta che appare «in giacca di velluto», mentre lei indossa un «abito da sera/ di Poiret: rosso, oro, e sopra i fianchi una cascata di tulle bianco» e immaginiamo quanto fosse bella, e irresistibile, quella sera come moltissime altre della sua vita, a Londra, a Parigi, in Spagna, a Venezia, a New York, con i magnetici occhi color acquamarina, il viso felino, le movenze di una odalisca, il cervello sempre in subbuglio, la passione di una tigre ma, anche, la freddezza di un iceberg. Lo ricorderà, un giorno, il suo amante Henry Crowder, musicista jazz afroamericano che Nancy conosce una sera a Venezia, e di cui si innamora follemente, sposando, da quel momento, la causa della cultura nera: tanto che, nel 1934, è proprio questa figlia dell’Impero a pubblicare Negro, la prima antologia sulla cultura dei neri, a cui dà un contributo anche il suo amico Samuel Beckett. Ma, nelle sue memorie – As Wonderful As All That?, ovvero «Davvero tutto così favoloso?» – Crowder sottolinea l’altro lato di Nancy, quello di una donna irraggiungibile, vanitosa, egoista, glaciale. Così snob, si potrebbe dire, da disprezzare perfino l’aristocrazia in cui era immersa, e da farsene bandire per sempre: la madre la diseredò, per la sua lotta a favore della causa black. E questo, d’altronde, è anche un dato di fatto: Nancy Cunard lottò per una causa che nessuno, all’epoca, si filava, e lo fece da una posizione così inaspettata che ben pochi la compresero, e ancora meno la apprezzarono (soprattutto i soliti sostenitori delle buone cause).
Che altro succede, in quella sera del 1922? Nancy si ricorda di Prufrock, che ha letto e amato. Da ragazzina solitaria, ha studiato e letto moltissimo, parla perfettamente francese e tedesco, poi impara l’italiano e lo spagnolo, e nella poesia si cimenta da tempo: ha già pubblicato la raccolta Outlaws (1921), che però il suo amico Ezra Pound ha criticato; seguono poi Sublunary (1923) e, soprattutto, il poema Parallax, che esce nel 1925 per la prestigiosa Hogarth Press di Virginia e Leonard Woolf. I versi di Parallax devono molto a Eliot, e Nancy mostra la sua ammirazione verso il poeta in molte occasioni, anche se non è ricambiata. Peggio: Nancy finisce nella Terra desolata nelle parti di una donna frivola e di facili costumi. Perché? Perché, a quella festa, Nancy lo adesca: lo invita a un incontro al ristorante dell’Hotel Tour Eiffel, ritrovo della gioventù bohémienne londinese, «in quella che chiamavano/ La Sala di Wyndham Lewis»... «E tu venisti eccome». Non trascorsero tutta la serata al ristorante.
Non si può dire che Eliot sia stato l’unico a essere conquistato da Nancy Cunard, anzi: pare non le resistesse nessuno. Fra gli altri suoi amanti più celebri, in ordine sparso: Ezra Pound, Wyndham Lewis, Pablo Neruda, Louis Aragon, Tristan Tzara, Aldous Huxley... È stata immortalata da Cecil Beaton, Man Ray, Kokoschka e Brancusi, è finita nelle opere di Huxley, Michael Arlen e Hemingway, ha avuto come mentori George Moore prima e Norman Douglas poi, su cui ha scritto due meravigliosi memoir. Con Louis Aragon, che fece quasi impazzire, sul finire degli anni Venti mise in piedi una casa editrice, la Hours Press, con cui pubblicò ventitré gioiellini stampati a mano con una pressa antica (prima nella campagna francese, poi a Parigi): Moore, i primi trenta Cantos di Pound, la traduzione di Aragon dell’impossibile Caccia allo Snark di Lewis Carroll, Robert Graves, Richard Adlington e, soprattutto, Whoroscope, i primi versi di Samuel Beckett, che venne «scoperto» proprio da Nancy grazie a un concorso letterario da lei indetto.
Lei e Beckett rimangono amici per tutta la vita. Lui la sostiene sempre, anche quando lei si imbarca nella causa dei ribelli spagnoli e poi in quella dell’Africa e degli afroamericani. Durante la guerra, Nancy lascia l’amata Francia e combatte da Londra contro i nazisti (pare che alla lettera «C» fosse segnata subito dopo Churchill fra gli arcinemici del Reich) e, quando torna, trova la sua casa distrutta: lettere, libri, dipinti, opere d’arte e la sua straordinaria collezione di braccialetti africani, quelli con cui ricopriva le sue braccia magrissime e che tintinnavano sempre al suo passaggio. Dicevano che, quando si trovava in una stanza, fosse impossibile non notarla. Ma la perdita di tutto ferì il suo cuore. Ben nascosto in fondo a esso pare ci fosse un ragazzo, un irlandese, che le aveva regalato una copia di Prufrock: si era innamorata di lui, e di quelle poesie, ma poi quel ragazzo era morto troppo presto.
Senza le fortune di famiglia, con pochi amici, Nancy Cunard trascorre gli ultimi anni di vita nella campagna francese. Scrive, ricorda, fuma. Non si lascia controllare o imprigionare da nessun obbligo, nessuna creanza, nessuna prudenza. Non mangia più. Muore a Parigi, a 69 anni, un mese e mezzo dopo T.S. Eliot. L’unico vezzo rimastole era un piccolo dipinto di Manet, che le aveva regalato George Moore molte vite addietro. E, sempre, quello sguardo obliquo, scostato, quello della parallasse: con cui viveva nel mondo, eccome, ma lo guardava anche sempre da una distanza siderale.