La Stampa, 26 luglio 2023
Petrolio russo a prezzi di mercato così Cina e India aiutano il Cremlino
Negli ultimi giorni, quando il prezzo del greggio più richiesto ha superato il tetto dei prezzi imposti dall’Occidente per privare Mosca di finanziamenti per la guerra in Ucraina, la Russia ha prevalso nella battaglia per l’influenza sui mercati globali del petrolio.
Secondo Argus Media, società che segue l’andamento delle materie prime, si tratta della prima volta che il prezzo del petrolio degli Urali, il fiore all’occhiello della Russia, ha varcato la soglia limite di 60 dollari al barile da quando gli Stati Uniti e i loro alleati hanno introdotto nuove sanzioni nel dicembre scorso. Questo è il segno che il Cremlino ha avuto successo almeno in parte nell’adeguarsi alle restrizioni.
Il tetto ai prezzi del greggio rientra nella campagna occidentale di pressione economica e prende di mira la più importante fonte di introiti per la Russia, ed è stato adottato per sottoporre a salasso i forzieri di guerra del Cremlino e incoraggiare al contempo i produttori russi a continuare a immettere petrolio sul mercato, così da non innescare l’inflazione nel mondo.
Segno del fatto che la stretta fiscale su Mosca potrebbe essere in calo è che lo sconto per il petrolio degli Urali, rispetto al Brent di riferimento, si è ridotto a 20 dollari al barile. Il divario è tuttora molto maggiore oggi rispetto a prima della guerra, ma da gennaio si è dimezzato.
Le sanzioni dell’Occidente mirano a sfruttare la dipendenza della Russia dai trasporti e dalle assicurazioni dell’Europa come leva per arginare gli introiti che Mosca recupera dal greggio. I prezzi in aumento lasciano intuire che la spinta russa volta a mettere insieme una rete alternativa di navi cisterna alle quali non sono applicate le sanzioni sta intaccando l’influenza dell’Occidente sulle sue esportazioni più importanti: lo ha detto Sergey Vakulenko, un analista del Carnegie Russia Eurasia Center ed ex dirigente di una società petrolifera in Russia.
«È stato un processo evolutivo, di cui vediamo i risultati proprio adesso» ha detto Vakulenko. «Le società petrolifere russe si sono impegnate molto per continuare a fare affari e guadagnare. Da un punto di vista operativo, si sono dimostrate molto capaci».
Gli operatori hanno detto che di recente i produttori russi hanno dato scarsi segni di voler negoziare prezzi ai quali gli operatori occidentali possono restare sul mercato. Si tratta di un cambiamento importante da quando il petrolio degli Urali ha sfiorato i 60 dollari in aprile.
Certo, per esportare parte degli oltre sette milioni di barili di petrolio che vendono oltreoceano tutti i giorni, per qualche tempo le compagnie petrolifere russe dovranno fare affidamento sulle petroliere e sulle assicurazioni occidentali. «Se si considerano tutte le direzioni nelle quali deve operare la Russia e si calcola quante petroliere occorrono a Mosca per una flotta autonoma e indipendente, ci si rende conto che i russi sono molto lontani da dove dovrebbero essere» ha detto Craig Kennedy, professore associato presso l’Harvard University dove conduce uno studio sulle spedizioni russe.
Fonti di Washington definiscono l’aumento dei prezzi una vittoria di Pirro per Mosca, e fanno notare i molti ostacoli che l’Occidente ha frapposto. Il concetto di fondo è che Mosca venderà petrolio a prezzo più basso perché per esportarlo ha bisogno dei servizi occidentali.
A complicare l’analisi sull’efficacia del tetto dei prezzi c’è il fatto che, dopo l’invasione dell’Ucraina, è diventato sempre più difficile quantificare il prezzo al quale si commercia il greggio russo.
Le sanzioni dell’Occidente mirano a sfruttare la dipendenza della Russia dal trasporto e dalle assicurazioni dell’Europa come leva per arginare gli introiti che Mosca recupera dal greggio.
Alcuni criticano la soglia massima iniziale, a loro dire troppo alta. L’Ucraina ha esercitato pressioni per abbassarla. Alcune divergenze interne all’Ue e alcune preoccupazioni sul prezzo del gas a Washington le hanno moderate.
Al contrario, Usa e Ue si sono impegnati per inasprire l’applicazione delle sanzioni.
Una sfida più grande per le sanzioni è quella del nuovo sistema logistico che la Russia e le compagnie nella sua orbita hanno iniziato a realizzare, con petroliere di proprietà, assicurate e noleggiate fuori dall’Occidente.
La vendita di navi da trasporto di seconda mano ha ingigantito la flotta ombra: con questo termine si indicano le petroliere che trasportano il petrolio dalle nazioni soggette a sanzioni. Secondo la società di rilevamento dei trasporti navali Vortexa, nel secondo trimestre di quest’anno le petroliere che hanno lavorato con i produttori di Paesi soggetti a sanzioni sono state il quintuplo della fine del 2021. Quasi l’80% di queste navi ha ingrassato il mercato russo.
In parte, l’Occidente ha guadagnato potere di leva dal ruolo sproporzionato del settore navale della Grecia che, in quanto parte dell’Ue, osserva le sanzioni e il price cap. La flotta di petroliere del Paese movimenta più della metà del greggio esportato dalla Russia, ha detto Robin Brooks, economista capo presso l’Institute of International Finance. «L’Occidente ha un vero potere sui prezzi» ha detto, aggiungendo che il tetto potrebbe essere abbassato a 20-30 dollari al barile.
Quel potere di leva, però, potrebbe essere in esaurimento. Negli ultimi mesi le enormi cifre che le compagnie europee di trasporto possono guadagnare dal noleggio di petroliere per esportare il petrolio russo sono drasticamente calate, lasciando così intendere che la Russia sta facendo ricorso sempre più spesso a tanker di proprietà di aziende esterne al G-7.
L’Amministrazione Biden ammette che la Russia sta mettendo insieme una flotta indipendente, ma una fonte di alto grado del Tesoro degli Stati Uniti ha detto che questo non è un fattore significativo dei flussi di petrolio. I costi necessari a sostenere la creazione di quel sistema alternativo di trasporto dirotta fondi dalla guerra, dicono i funzionari statunitensi che calcolano che la Banca centrale russa ha impiegato 9 miliardi di dollari per rimpiazzare gli schemi occidentali di riassicurazione.
Prima della guerra, gli assicuratori di Stati Uniti, Europa e Giappone coprivano quasi tutte le esportazioni russe via mare, comprese quelle effettuate con petroliere di proprietà statale russa. Queste compagnie erogano assicurazioni contro reclami da parte di terzi, come le aziende costiere colpite da uno sversamento di petrolio.
Rolf Thore Roppestad, ad della compagnia norvegese di assicurazioni Gard, ha detto che almeno dieci petroliere attraversano gli Stretti danesi, il Canale di Suez e lo Stretto di Malacca senza essere coperte da assicurazioni dell’International Group. Questo costituisce un pericolo enorme, ha detto, perché assicuratori esterni al gruppo spesso non hanno l’esperienza necessaria a reagire in caso di incidente.
«La preoccupazione è che questi assicuratori non siano coperti da una riassicurazione, oppure che lo siano ma che i riassicuratori non abbiano le risorse necessarie a far fronte a un danno molto grave» ha detto Alexander Brandt, partner nello studio legale Reed Smith. «Se ci fosse uno sversamento» ha detto «il timore è che nessuno, ma proprio nessuno, vi ponga rimedio».
Traduzione di Anna Bissanti