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 2023  luglio 26 Mercoledì calendario

Intervista al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi

Mentre pianifica per il primo pomeriggio la visita nel centro operativo nazionale dei vigili del fuoco, impegnati nella doppia emergenza dei roghi in Sicilia e dei nubifragi in Lombardia e Veneto, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, nella sua stanza al secondo piano del Viminale, non trascura un’altra importante questione. Quella dei migranti.
Il loro afflusso continua ad aumentare: dal primo gennaio ad oggi ne sono sbarcati 87. 351 contro i 37. 231 di un anno fa. Che cosa vi aspettate per i prossimi mesi?
«È evidente che il periodo estivo, con le buone condizioni del mare, è da sempre quello di maggiore affluenza sulle nostre coste. Tuttavia, sono fiducioso che l’impegno ed il lavoro che stiamo portando avanti con la collaborazione operativa dei principali Paesi di origine e di transito dei flussi permetterà presto di avere primi concreti benefici. È fondamentale attuare una strategia di lungo periodo che si fondi su un approccio non solo securitario; la Conferenza internazionale su sviluppo e migrazione che il presidente Meloni ha ospitato a Roma va proprio in questa direzione».
Ma come possono essere garantiti i diritti dei migranti da Paesi come Libia e Tunisia che non brillano certo per il rispetto dei diritti umani?
«Credo che il più efficace contributo anche sotto questo punto di vista sia quello di aiutare questi Paesi a migliorare le loro condizioni socio-economiche. In Libia e Tunisia sono attivi progetti di organizzazioni umanitarie internazionali che lavorano per la tutela dei diritti delle persone. E poi vorrei sottolineare che in questa azione di collaborazione con Tunisia e Libia siamo sostenuti dall’Europa: non penso che qualcuno possa nutrire perplessità sull’attenzione che quest’ultima riserva alle condizioni dei migranti».
Che genere di garanzie chiediamo a Libia e Tunisia in cambio dei finanziamenti che offriamo loro?
«Sono attivi in entrambi i Paesi progetti, finanziati anche dall’Unione Europea, di supporto logistico e assistenza tecnica, nonché di addestramento e formazione del personale, diretti a rafforzare il controllo delle frontiere terrestri e marine e in questo modo contrastare più efficacemente i traffici di migranti. Stiamo fornendo apparati tecnologici, equipaggiamenti e motovedette per svolgere attività di law enforcement. Lo stiamo facendo anche con altri Paesi di origine e transito dei flussi migratori irregolari. In una seconda fase, grazie al Piano per lo sviluppo dell’Africa, puntiamo a sostenere la crescita economica di tutta quell’area. Ma queste sono azioni a più lungo termine. Ora dobbiamo gestire l’emergenza sbarchi e su questo fronte sia la Libia sia la Tunisia stanno collaborando».
Che fine hanno fatto i blocchi navali sbandierati durante la campagna elettorale?
«Un’attenta attività di controllo delle frontiere marine di Tunisia e Libia è già in corso. Quest’anno, secondo i dati aggiornati alla fine dello scorso mese, sono stati intercettati dalle autorità libiche e tunisine più di 40 mila migranti partiti dalle loro coste. Un’azione che serve a scongiurare tragedie in mare, a contrastare la piaga del traffico di esseri umani e a contenere gli sbarchi sul nostro territorio».
Come migliorare le condizioni dei migranti una volta che sono sbarcati sulle nostre coste?
«Abbiamo previsto di rafforzare le strutture di prima accoglienza, soprattutto in Calabria e Sicilia, anche ampliando quelli già attivi. Quella di Lampedusa, ad esempio, è passata da 440 a 680 posti. Certo, durante i periodi più critici, questo centro arriva a registrare anche fino a 2 mila persone ma grazie all’assegnazione della gestione alla Croce Rossa italiana, ad alcuni interventi strutturali e a un costante e rapido svuotamento della struttura la situazione è molto migliorata. In questa direzione è stato fondamentale l’avere dichiarato lo stato d’emergenza che consente di semplificare e velocizzare tutte le procedure ed intervenire con tempestività».
Eppure da molti sindaci e governatori giungono proteste perché il sistema di distribuzione dei migranti è pieno di lacune.
«Purtroppo le criticità sono strettamente legate a una pressione migratoria che non consente una programmazione. È una situazione estremamente complicata. Tuttavia, il sistema dell’accoglienza ha retto grazie, voglio sottolinearlo, all’impegno delle prefetture e di tutte le amministrazioni territoriali. Il governo Meloni ha dato un segnale importantissimo adottando i decreti flussi con una programmazione triennale, accompagnati da iniziative di formazione professionale nei Paesi di origine che agevolano l’ingresso legale di personale qualificato nel mercato del lavoro. Nella situazione attuale non possiamo mai sapere quando e quanta gente arriverà. Dobbiamo investire su ingressi regolari che eviterebbero anche conflittualità sui nostri territori».
Ma come può l’Italia, Paese di migranti all’estero e dal Sud al Nord, suggerire di non partire a chi soffre nella propria nazione?
«L’esempio dell’Italia calza a pennello perché è la prova che quando le condizioni socio-economiche nel nostro Paese sono migliorate si è ridotto il fenomeno emigratorio. Sia chiaro: aiuteremo sempre chi fugge dalle guerre ma sul fronte dei migranti economici dobbiamo lavorare per creare condizioni di crescita e sviluppo sociale nei Paesi di origine. È quello che il premier Giorgia Meloni ha definito il “diritto a non migrare"». —