la Repubblica, 26 luglio 2023
L’imperfezione di Barbie
Dove sono andate a finire le bambine che giocavano con le bambole e immaginavano un futuro fedele alle promesse, vedendosi prima belle, poi di successo, diverse, comunque accettate e protagoniste? La risposta è: qui, in un cinema fuori Roma. Alla perenne ombra di Marc Augé: un non luogo, incastrato tra centri direzionali e commerciali, aeroporto e autostrada. Eccole arrivare, con le figlie piccole o adolescenti, oppure con le amiche coetanee. Indossano qualcosa o molto di rosa, come impone il passaparola. Perfino tre ragazzi si sono adeguati, mettendo le maglie del Palermo calcio, ma Barbie non è un film per loro. Neppure per teenager e men che meno per bambine. Come potrebbero avere nella borsetta fucsia la delusione per il destino che avevano disegnato con i pastelli, per l’ottusità rivelata dai Ken o, addirittura, il pensiero della morte?
E qui facciamo giustizia di un altro equivoco. Magari è soltanto negli occhi di uno dei pochi maschi in sala, ma la protagonista del film non è affatto Barbie, non è Margot Robbie. È Gloria, la madre quarantenne interpretata da America Ferrera, che recupera dalla spazzatura la bambola bionda buttata dalla figlia e le attribuisce i propri sentimenti. Il dubbio di aver frainteso sfuma quando scoppia l’applauso del pubblico. Non avviene a The end, ma dopo il monologo di Gloria, che sta diventando un testo generazionale condiviso. Recita: “È letteralmente impossibile essere una donna. Tu sei così bella, così intelligente e mi devasta sapere che pensi di non esserlo abbastanza. Come se dovessimo sempre essere straordinarie, ma sbagliassimo sempre qualcosa… Devi essere magra, ma non troppo. E mai dire che vuoi essere magra. Devi avere soldi, ma non chiederne, perché è volgare. Devi avere una carriera, ma anche occuparti degli altri… Tu non devi invecchiare, non essere scortese, non esibirti, non essere egoista, non cadere, non fallire, non mostrare che hai paura, non uscire dalle righe. È troppo difficile, confuso e nessuno ti premia o ringrazia per questo. Sono stanca di vedere me e ogni altra donna sacrificarsi per piacere agli altri. E se questo è vero per una bambola che rappresenta le donne, figurarsi”.Segue ovazione.
Barbie vuole raccontare una liberazione. Parla a chi ha preso in mano la prima bambola con le curve. La ideò Ruth Hendler, che compare nel film come la Creatrice, definita “un fantasma” dall’ennesimo uomo (l’amministratore delegato della Mattel) incapace di capire che è il soffio della vita, destinato a reincarnarsi in ogni creatrice. Barbie è stata la prima bambola di cui le bambine non erano mamme, ma amiche. Lei, faro del gruppo, indicava la rotta. Prima anelava alla perfezione, poi è scesa dall’empireo, ha avuto professioni (sempre realizzandosi), ammesso la differenza, subito la correttezza politica. Le mancava soltanto una cosa: diventare umana.
Nella storia della letteratura e del cinema questo è un meccanismo così ripetuto da diventare usurato. Da Pinocchio alla replicante di Blade Runner, da Truman alle Stepford wives la rivelazione di vivere in un mondo artificiale prima sconforta poi accende il desiderio di fuga. Che all’unanimità si preferiscano la mortalità, il caduco regno delle emozioni, il domani come un mistero anziché una fotocopia dell’oggi e tutti gliieri, sa di autoconsolazione. Alla fine, è preferibile essere noi. O meglio: voi. Fare la donna, la moglie, la madre è dura, quasi impossibile. Ti hanno garantito opportunità che invece stai continuando a sognare. Quelle che ce l’hanno fatta hanno seguito la scia dei peggiori tra gli uomini. Ti è toccato per compagno qualcuno che spesso è un bamboccione e puoi firmare per tenerlo, perché almeno non è violento. La tua bambina non si riconosce in nessuno dei tuoi ideali. La sua Barbie è Chiara Ferragni. Del suo Ken puoi sperare che non la droghi e se ne approfitti insieme con due amici. Barbie viene a dirti, mentre per una volta è lei ad abbracciare te, che va bene anche così e lei darebbe il suo mondo di frutta candita per questa macedonia di mele marce, noccioli e uva passa. Se la rimescoli deve pur avere un diamante nascosto e se non lo trovi vivrai per riuscirci.
Dicono che Barbie stia riuscendo, più di Tom Cruise, nella mission impossibile di salvare il cinema. Mai vista tanta gente in un pomeriggio feriale, da anni. In America è andato oltre le aspettative, in tandem con Oppenheimer. Hanno creato un supereroe a due teste: Barbenheimer. E centinaia di meme che ti assegnano all’uno o all’altra. Si scambia spesso la coincidenza temporale per il senso delle cose. Noi maschi novecenteschi non abbiamo bombe e neppure sogni, ma un incubo in cui siamo oltre ogni dolore con John Wick, il nostro cavaliere nero (e che cosa non fargli lo ha spiegato Gigi Proietti). Alla fine Barbie regala sorrisi malinconici e dubbi. Ha un messaggio così esplicito da risultare didascalico. Resterà? Forse nella lista dei film sopravvalutati perché si temeva di non essersi adattati al fremito del nuovo (la capeggia l’OscarEverything Eccetera ). Se peròconta il presente, allora conta.