Corriere della Sera, 26 luglio 2023
madrid in mano a Barcellona
MADRID La Spagna continua a cuocersi sotto il sole e nell’attesa. I politici trattano sottotraccia e fan di conto. La somma giusta – 176 seggi per governare – ancora non c’è. Né a destra né a sinistra. Il fronte guidato dal presidente del Partito popolare, Alberto Nuñez Feijóo, ha incassato il rifiuto del Partito nazionale basco e dei suoi 5 deputati – «non entreremo mai nell’equazione Pp-Vox» – restando così fermo a 171 seggi: quelli che raggiunge con il partito di Abascal, l’Unione del popolo navarro e Coalizione canaria. Nel Pp una fronda interna vuole già la testa del leader galiziano, che però non getta la spugna, pretende l’incarico per formare un nuovo esecutivo e insegue ancora l’alternativa del «patto di Stato» con l’avversario socialista. «Farò il mio dovere e proverò», ha detto ieri da Santiago del Compostela dove si celebrava una festività cattolica.
Pedro Sánchez dall’orecchio destro, però, non vuole sentire, forte del risultato ottenuto domenica e consapevole che la base del Psoe non accetterebbe un patto con il Pp. Anche la sinistra ricorre al pallottoliere e alla speranza. La coalizione Psoe-Sumar è solida ma arriva a soli 153 seggi. Serve l’appoggio dei partiti nazionalisti. Quelli baschi, con alcuni distinguo, sono pronti. Il più fedele per ora è EH Bildu, in cui sono confluiti ex esponenti dell’Eta, il gruppo terroristico che s’è dissolto nel 2018. «Il sì a Sánchez è garantito», dice il portavoce Oskar Matute. «Non daremo alla destra la possibilità di ripetere le elezioni». Più complicato il fronte catalano.
Sánchez ieri ha partecipato all’inaugurazione della Galleria delle Raccolte Reali a Madrid. Era seduto accanto al sovrano Felipe VI, che tra meno di un mese dovrà decidere a chi affidare l’incarico di formare il futuro governo. L’attuale primo ministro ha fatto sapere, attraverso i canali del Psoe, che avvierà i colloqui per tentare di ottenerlo solo oltre la metà di agosto, ossia dopo l’insediamento del nuovo Parlamento. Ufficialmente.
I tempi
L’attuale premier
ha detto che avvierà
i colloqui ufficiali solo oltre la metà di agosto
La patata bollente, in realtà, è passata nelle mani di Yolanda Díaz, che nel frattempo deve anche affrontare l’attacco interno della «pasionaria» Ione Belarra di Podemos, partito confluito in Sumar, che contesta la sua leadership. «Sumar perde oltre 700.000 voti rispetto al peggior risultato di Unidas Podemos. La strategia di rinunciare al femminismo non ha funzionato», ha detto. In realtà, Díaz ha salvato la sinistra radicale dall’atteso tracollo e dietro le quinte si è ritagliata un ruolo da protagonista nei negoziati con Junts per Catalunya e il suo leader in esilio, Puigdemont, il cui appoggio esterno è decisivo per un governo delle sinistre.
Díaz ha chiesto a Jaume Asens, ex portavoce di Podemos, di volare a Waterloo, in Belgio, per trattare direttamente con l’ex governatore della Generalitat catalana. Tra i due c’è un rapporto d’amicizia: sarebbe stato Asens a consigliare a Puigdemont di auto-esiliarsi nel 2017, dopo la fallita dichiarazione d’indipendenza. E sempre lui ha poi forgiato l’alleanza tra Psoe ed indipendentisti nella scorsa legislatura, negoziando l’indulto per i separatisti in carcere e l’eliminazione del reato di sedizione dal codice penale. Niente in confronto al compito titanico che lo attende ora. Anche perché Feijóo ha subito levato gli scudi: «Il nostro Paese non si può sottomettere agli indipendentisti e a un profugo della giustizia».