Corriere della Sera, 26 luglio 2023
Biografia di Mozart bambino
«Se tutti i bacetti che danno a Wolfi fossero ducati diventeremmo ricchi». Più che una battuta, è una considerazione quella di Leopold Mozart che riassume il senso dell’infanzia di Wolfgang Amadeus. Da un lato un bambino baciato dal genio della musica, l’enfant prodige che sorprende nobiltà e regnanti di tutta Europa. Dall’altra un padre che si accorge sin dai primi anni di avere un figlio eccezionale («è come se qualcuno, dentro di lui, gli dettasse le note») e decide di sfruttare al massimo le sue doti.
Edgarda Ferri riprende in mano il copioso epistolario della famiglia Mozart e lo rilegge nella chiave del rapporto tra padre e figlio. Nel titolo del libro, Il bambino di Salisburgo (Solferino, pagine 240, e 16,50), si racchiude un’infanzia che si protrae ben oltre il tempo naturale. Mozart deciderà di interrompere questo legame divenuto tossico nel 1781, a quasi 25 anni, dopo i viaggi in Italia, fondamentali per la sua formazione operistica; e dopo il debutto di un titolo importante come Idomeneo. Prima, la dipendenza dal genitore aveva sempre preso il sopravvento. A costo anche di rinunciare all’amore.
Il motto dei Mozart era uno per tutti, tutti per uno. Per Amadeus Leopold ha un progetto di vita che non ammette distrazioni: non lo fa andare a scuola per dargli un’educazione del tutto domestica; organizza viaggi massacranti in giro per l’Europa; per lui sacrifica il destino della figlia Nannerl, altro prodigio, e decide di stare lontano dalla moglie per anni. E nelle lettere di Leopold alla consorte c’è il cruccio di non assicurarsi abbastanza denaro con le esibizioni del figlio. Ma non è soltanto la volontà di sfruttare la gallina dalle uova d’oro. C’è il transfert delle proprie aspirazioni non soddisfatte. Leopold era anche uno stimato maestro di musica, il suo libro sull’apprendimento del violino resterà nel tempo un punto di riferimento; ma non riusciva a ottenere la carica di maestro di cappella a Salisburgo.
Una dinamica ben nota agli psicologi, il voler pretendere sempre di più dal figlio. Se ne accorge anche Johan Adolf Hasse, stimato musicista, maestro dell’imperatrice Maria Teresa, che nota come Leopold sia sempre scontento. «Idolatra suo figlio, forse troppo, e fa il possibile per rovinarlo».
Il racconto di Edgarda Ferri non è biografico, si attiene come sempre a una ricchezza cronachistica che rivela una grande ricerca di documenti; e offre, al di là della vicenda dei protagonisti, un ampio spaccato sociale dei luoghi visitati dai Mozart. Il tono resta leggero, spesso divertente; ma frenetico, dettato dai continui viaggi su carrozze sgangherate e strade sconnesse. È un girovagare estenuante, costellato da freddo, fango, malattie, rischio di epidemie. Ma la gioia infantile di Amadeus sovrasta ogni fatica e imprevisto, la sua iperattività era anche una richiesta di gioco, di svago, di scherzi irriverenti. Ma il padre lo riportava al lavoro: sonate, arie, sinfonie. Da una parte il Mozart che colleziona successi; dall’altro il «bamboccione» al quale l’accoppiata col padre comincia a riservare giudizi sferzanti e qualche porta chiusa. Salisburgo gli sta stretta, merita di essere lasciata per sempre. Ferri rappresenta il distacco definitivo con un calcio nel sedere: quello che gli darà il suo mentore a Vienna, Giorgio d’Arco, insofferente alla voglia di libertà del giovane compositore. Bambino troppo a lungo per una vita troppo corta. Ma sappiamo cosa riuscì a creare Amadeus nei dieci anni che gli sarebbero rimasti.