la Repubblica, 25 luglio 2023
Pignorare i conti di chi evade
In tema di contrasto dell’evasione fiscale, il governo Meloni finora si è caratterizzato per la scelta di un’ennesima rottamazione delle cartelle esattoriali – un provvedimento che, oltre che iniquo, è anche ben meno produttivo di gettito immediato di quanto si pensi, come recentemente certificato dalla Corte dei Conti – e per alcune dichiarazioni da cui emergerebbe una volontà di discontinuità rispetto alle politiche di questi ultimi anni, che pure hanno portato una sostanziosa riduzione dell’evasione, in primis, dell’Iva, come mostrato anche dalla Commissione europea.
Tuttavia, nella delega fiscale sono presenti norme di segno diverso che, in continuità con il governo Draghi, vanno nella direzione di aumentare l’efficienza dell’amministrazione finanziaria. Una di queste è la disposizione riguardante il rafforzamento della procedura di pignoramento dei conti correnti degli evasori. La polemica sorta al riguardo è molto istruttiva della confusione e della demagogia che circondano il tema fiscale.
Per riportare le cose in ordine occorre ricordare due fatti.
Primo, il nostro sistema di riscossione ha accumulato oltre mille miliardi di crediti non riscossi. Sono somme di denaro dovute dai contribuenti al Fisco, si tratta cioè di evasione giuridicamente conclamata. O si fa qualcosa di serio per aumentare l’efficienza delle procedure di riscossione o saremo per sempre costretti a fare condoni e rottamazioni una dietro l’altra. Come svuotare il mare con un cucchiaino, per di più avvantaggiando i furbi, quelli che non pagano, magari dopo aver versato qualche rata giusto per rientrare nel condono e aspettare la rottamazione successiva, sempre più conveniente.
Secondo, nei loro rapporti sulla nostra amministrazione finanziaria le organizzazioni internazionali – Ocse e Fondo monetario internazionale – hanno sottolineato che i poteri attribuiti ad Equitalia (oggi Agenzia della riscossione, che è un’articolazione dell’Agenzia delle Entrate) sono inferiori a quelli normalmente riconosciuti alle amministrazioni che si occupano della riscossione nei grandi Paesi europei.
Questo veniva certificato negli stessi mesi in cui nel nostro Paese dominava la campagna, alimentata da diversi partiti (e non solo di centro-destra) contro Equitalia, vista come un ente oppressivo con poteri esorbitanti.
In particolare, in quei rapporti delle organizzazioni internazionali c’è scritto nero su bianco che l’Italia è l’unico Paese in cui la riscossione non agisce sulla base di una preventiva analisi delle condizioni economico-patrimoniali del debitore e quindi della probabilità di ottenere il dovuto. Tutti i creditori del mondo (a cominciare dalle banche) decidono come operare avendo prima un’idea piuttosto precisa di quanto e di come potranno recuperare il dovuto,perché le agenzie fiscali non dovrebbero poterlo fare?
Entriamo così sul tema della discussione. L’articolo 16 del disegno di legge delega fiscale prevede, nell’ambito di una più ampia riforma della riscossione, la razionalizzazione e l’automazione della procedura di pignoramento dei rapporti finanziari. Si tratta di una delle (poche, a dire il vero) parti del disegno di legge del governo Meloni riprese dal disegno di legge Draghi di riforma del fisco. L’idea è molto semplice. Oggi le procedure di pignoramento avvengono sostanzialmente al buio, perché l’Agenzia non ha informazioni precise ed aggiornate sulla consistenza dei conti correnti intestati all’evasore. In altri Paesi (ad esempio nel Regno Unito), invece, al momento della riscossione l’Agenzia sa esattamente qual è la consistenza del conto corrente dell’evasore e, inoltre, fino a quando il pignoramento non è eseguito il correntista non viene avvertito della procedura in atto, e non ha quindi la possibilità di spostare i suoi fondi. Questa potrebbe essere una delle direzioni di “automazione e razionalizzazione” della procedura di pignoramento.
Ovviamente, nulla di tutto questo ha niente a che fare con il prelievo forzoso sui conti correnti, ovvero con la manovra Amato del 1992. Quella era una tassa applicata (in via straordinaria) a tutti i correntisti. Questa è una procedura utilizzabile solo nei confronti degli evasori conclamati, e solo quando altri mezzi meno energici non sono stati efficaci. Confondere le due cose significa fare demagogia e contribuire ad alimentare falsi miti, primo fra tutti quello del Grande Fratello fiscale.
L’efficientamento dell’amministrazione finanziaria e la possibilità che i dati vengano usati in modo massivo e generalizzato sia per orientare i controlli sui contribuenti a maggior probabilità di evasione sia per guidare l’azione di riscossione è l’unica strada per tornare ad un rapporto normale tra Fisco e contribuente e per avere livelli fisiologici, e non più patologici, di evasione.