Corriere della Sera, 25 luglio 2023
Il 25 luglio e il duce passivo
Di alcuni eventi storici crediamo di sapere tutto o quasi. Ne esistono versioni consolidate, che si tramandano nel tempo sui mass media ed entrano nell’immaginario collettivo. Ma può succedere che, con la scoperta di documenti inediti, le prospettive cambino e si facciano strada ricostruzioni e interpretazioni diverse. Un caso di questo genere è la seduta del Gran Consiglio del fascismo in cui venne votato il famoso ordine del giorno Grandi, decisivo per mettere in moto gli eventi che portarono alla caduta di Benito Mussolini. Il libro di Emilio Gentile 25 luglio 1943, oggi in edicola con il «Corriere della Sera», costituisce a tal proposito un punto di svolta importante, che permette di risolvere parecchi interrogativi e di smentire le versioni di comodo fornite dai protagonisti di quella drammatica vicenda.
I presupposti della seduta del Gran Consiglio sono ben noti. Dopo tre anni di guerra, la situazione militare dell’Italia e la stabilità politica del fascismo erano largamente compromesse. Il 10 luglio 1943 gli anglo-americani erano sbarcati in Sicilia e si apprestavano a completare l’occupazione dell’isola. L’incontro tra Mussolini e Adolf Hitler tenuto nei pressi di Feltre il 19 luglio si era concluso con un nulla di fatto: l’ipotesi di trattare una pace separata con l’Unione Sovietica per rivolgere tutte le forze contro gli Alleati, ventilata dal Duce, non interessava affatto al dittatore tedesco. Lo stesso 19 luglio Roma era stata pesantemente bombardata dagli Alleati, con un gran numero di vittime civili.
Tre giorni prima, una delegazione di gerarchi fascisti si era presentata da Mussolini per chiedere la convocazione del Gran Consiglio. L’organo supremo del regime in realtà non era tale, perché il Duce lo concepiva come una sede di mera ratifica delle sue decisioni. Tra l’altro non si riuniva da lungo tempo: l’ultima seduta risaliva al dicembre 1939, quando la guerra era già cominciata, ma l’Italia si trovava ancora nella condizione ambigua definita di «non belligeranza». Tuttavia nel luglio 1943 il regime si andava sgretolando e Mussolini accettò il confronto.
Nel corso della riunione, che si tenne tra le 17.15 del 24 luglio e le prime ore del giorno seguente, venne votato a maggioranza l’ordine del giorno presentato da Dino Grandi, all’epoca presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni. Esso invitava Mussolini a pregare il re Vittorio Emanuele III di assumere «con l’effettivo comando delle Forze Armate», delegato nel 1940 al Duce, «quella suprema iniziativa di decisione che le nostre istituzioni a Lui attribuiscono».
La smentita
Alla fine della seduta Mussolini non disse che il voto provocava
la «crisi del regime»
L’indomani Mussolini si recò dal re a Villa Savoia e il sovrano gli annunciò la sua decisione di revocargli l’incarico di presidente del Consiglio per sostituirlo con il maresciallo Pietro Badoglio. All’uscita l’ormai ex dittatore venne fermato dai carabinieri, che lo caricarono su un’ambulanza e lo portarono in una caserma. Poi sarebbe stato trasferito sull’isola di Ponza. La sera del 25 luglio 1943 venne diffusa la notizia del cambio di governo e Badoglio si rivolse agli italiani, annunciando che la guerra sarebbe continuata.
Questi sono i fatti acclarati, che lasciano però aperti numerosi interrogativi circa l’andamento del Gran Consiglio, le intenzioni di Grandi e degli altri firmatari dell’ordine del giorno approvato, il comportamento di Mussolini. Un verbale ufficiale del dibattito non esiste. Molti dei protagonisti, a partire proprio dal Duce, hanno lasciato memorie, rilasciato interviste, scritto libri. Ma si tratta di testimonianze gravemente contraddittorie o «aggiustate» nel corso del tempo. Nel suo libro Emilio Gentile le analizza con estrema attenzione e ne valuta l’attendibilità con scrupolo filologico. Il quadro che ne risulta è una sommatoria di versioni differenti. Non a caso a tal proposito lo storico evoca Rashomon, il film del regista giapponese Akira Kurosawa in cui i personaggi forniscono ricostruzioni del tutto divergenti di uno stesso tragico episodio.
Gentile nel suo lavoro, uscito in origine presso Laterza nel 2018, si avvale di carte fino allora inedite provenienti dall’archivio di Luigi Federzoni, ex ministro ed ex presidente del Senato. Si tratta degli appunti presi dal gerarca bolognese durante la seduta del Gran Consiglio e di un «resoconto manoscritto a più mani compilato in forma di verbale in casa Federzoni, probabilmente tra la fine di luglio e l’inizio di agosto» del 1943. A questi documenti, preziosi perché redatti a botta calda, si aggiungono le annotazioni di Alfredo De Marsico, all’epoca ministro della Giustizia, riprodotte fotograficamente nel 1983 in appendice a un libro di memorie sul 25 luglio e trascurate dagli studiosi.
L’incursione
Pochi giorni prima Roma era stata colpita violentemente
dall’aviazione alleata
L’esame di queste acquisizioni e il confronto serrato con le altre testimonianze permettono a Gentile di giungere a conclusioni che possono apparire sorprendenti. Per fare un solo significativo esempio, risulta inattendibile un punto fondamentale della versione fornita da Mussolini nel 1944. Il Duce scrisse sul «Corriere della Sera» che durante la fatidica seduta aveva ammonito i firmatari dell’ordine del giorno Grandi, prima e dopo la votazione, sottolineando che quel documento avrebbe provocato «la crisi del regime». Ma di tali espressioni non si trova traccia nei documenti più affidabili e bisogna quindi concludere che furono frutto di un’invenzione utile a giustificare la fucilazione di Galeazzo Ciano e altri quattro gerarchi condannati per «tradimento» in seguito al processo farsa di Verona del gennaio 1944.
Il saggio di Gentile segna quindi un grosso passo avanti nella conoscenza di un episodio cruciale nella storia novecentesca del nostro Paese. Evidenzia l’atteggiamento rassegnato e imbelle di un Mussolini consapevole di aver perso la sua presa sul popolo e sugli stessi capi fascisti. Analizza le motivazioni confuse dei vari protagonisti, i loro intenti tutt’altro che limpidi. Soprattutto ci restituisce un quadro eloquente della condizione di marasma in cui era ridotto un regime liberticida dalle ambizioni smodate, che fece pagare un prezzo carissimo al Paese per le sue scelte politiche scellerate.