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 2023  luglio 25 Martedì calendario

Intervista a Diodato

La storia di Diodato è quasi una storia interrotta. Dopo il successo a Sanremo 2020 con Fai rumore, infatti, è scoppiata la pandemia e non ha mai potuto suonare dal vivo quel pezzo. O meglio, l’ha fatto ma in occasioni a metà, live con il pubblico contingentato, situazioni minori. Il 27 luglio invece è in concerto alla Cavea dell’Auditorium Parco della Musica per Roma Summer Fest senza restrizioni, con in scaletta anche i pezzi del suo nuovo album Così speciale, uscito in primavera.
«Menomale», sorride. «Il potersi mescolare è uno dei motivi per cui ho cominciato a fare musica».
E dopo tre anni Fai rumore è ancora qui.
«Credo che ormai faccia parte della nostra identità comune, anche solo per il momento a cui viene associata.
In pandemia era quasi un grido di liberazione. Magari non l’avevo mai suonata prima in concerti del genere, ma l’affetto non mi è mancato».
Non se ne è mai sentito prigioniero?
«Sarebbe assurdo negarlo. Però, ecco, ora che sono tornato sul palco vedo la differenza. Prima c’erano tante persone semplicemente curiose.
Adesso è rimasto chi si è affezionato alla mia musica, al di là di Fai rumore».
Per scrivere il suo ultimo album è tornato a Roma.
«A Roma ho vissuto vent’anni. Poi un giorno ho sentito di dovermene andare, di rifare da zero la mia vita.
Un anno fa, però, sono tornato a vedere gli amici di sempre. Sono rimasto nove mesi».
Doveva staccare?
«Ho ritrovato la semplicità. Ero a Trastevere, c’erano pochi turisti e ho visto un’altra Roma. Una Roma per me nuova».
Le canzoni sono nate lì?
«Quasi tutte. Sono fotografie di momenti interiori, di miei sguardi, di stati d’animo. Infatti sulla copertina ci sono i fiori: il seme, magari, era una sensazione, ma è servito coltivarla per ricavarne un brano».
C’è spazio per una musica fatta così?
«Sono d’accordo che è questione di spazi: non sono canzoni adatte alle piattaforme di streaming; hanno bisogno di locali, magari, in cuisuonarle, però posti del genere stanno scomparendo. Non so se c’è spazio. So che dovremmo capire tutti cosa vogliamo dalla musica».
In Occhiali da sole racconta la vita d’artista e la difficoltà di creare rapporti sentimentali stabili.
Quando l’ha capito?
«Subito (ride, nda). Ho realizzato presto che mi aspettava una vita di precarietà, anche emotiva e sentimentale».
È stata una scelta?
«A un certo punto ho visto che in tanti, anche chi aveva studiato, era condannato al precariato. Lì mi sonoconvinto a cancellare ogni alternativa: o le canzoni, o niente».
E oggi com’è?
«Mi piace. Chiaramente si è sempre sballottati, ci sono volte in cui sembra che stia tutto per finire e poi le cosevanno meglio, altre in cui ci si sente tranquilli e la carriera si stravolge. Ma è un bel viaggio, e non credo che mi sentirò mai “arrivato”. Magari se riempissi gli stadi del mondo per dieci anni di fila... (ride, nda) Però è questione di come la si vive. Ho visto artisti riempire gli stadi ed essere frustrati. E altri suonare davanti a cento persone ed essere felici».
Lei come sta?
«Bene. Le direi che è un periodo di transizione, ma lo è sempre. Il fatto è che sono uno affamato di vita. E questo movimento mi piace».