Il Messaggero, 25 luglio 2023
Stephen King raccontato dal suo traduttore italiano
Con oltre settanta romanzi pubblicati e più di cinquecento milioni di copie vendute nel mondo, Stephen King è il re del brivido. Anzi, il re di tutti. Nessuno come lui è in grado di raccontare personaggi perdenti nei quali possiamo rispecchiarci, celebrando l’epica dell’amicizia e il riscatto degli ultimi in un mondo che inneggia vanamente al mito dei vincenti. 75enne, l’orgoglioso figlio del Maine, attraverso i suoi capolavori da It a Shining, da Il miglio verde a Pet Sematary mescola divertimento e un’idea politica, consigliando di lasciar perdere Ronald Reagan e Donald Trump, perché la deriva americana è figlia proprio di questo modo malato di celebrare l’egoismo a danno della collettività.
Facendo imbufalire salotti e critici altolocati, Stephen King si è sempre definito un narratore popolare, un «hamburger con le patatine» e se in tanti, al primo barlume di successo più o meno costruito a tavolino - sgomitano per avere un quarto d’ora di celebrità, King si nasconde nelle pagine e rivendica l’appartenenza alla provincia americana, presentandosi come «un impiegato dell’immaginazione», scegliendo una vita routinaria ma sfornando bestseller a ruota continua.
L’AMERICANISTA
Il suo traduttore italiano, l’editor e americanista Luca Briasco, lo racconta con devozione nel saggio Il re di tutti. Un ritratto di Stephen King (Salani editore), firmando un libro già cult fra i kinghiani doc, un atto d’amore fra aneddoti e analisi critica, partendo dal suo libro d’esordio, Carrie (1974), per il quale ottenne «un anticipo all’autore di 2.500 dollari», abbastanza per comprarsi un’auto nuova e regalare a sua moglie Tabitha un nuovo phon da 29$. Ma un libro dopo l’altro, la fortuna ha bussato ripetutamente alla sua porta e secondo la rivista People With Money, King avrebbe guadagnato nella sua carriera circa 145 milioni di euro, fra sponsor, adattamenti sullo schermo e diritti d’autore vari. Dal febbraio 2018 - traducendo in cinque anni sei romanzi (The Outsider, L’istituto, Later, Billy Summers, L’ultima missione di Gwendy, Fairy Tale), una novella (Elevation) e la raccolta di racconti (Se scorre il sangue) - Briasco è la sua voce italiana e il 5 settembre arriverà Holly (Sperling&Kupfer, pp.512 21,90), la sesta apparizione di questo personaggio già approdato in tv (con la serie Sky, The Outsider).
IL TEMA
Ritroviamo Holly Gibney, che Briasco racconta a Il Messaggero: «Holly è una ex nerd, bullizzata a scuola e con una madre oppressiva ma con un talento particolare per l’investigazione, pronto a sbocciare. Holly prosegue Briasco - è un romanzo a tinte horror, in cui il male non è un’entità metafisica e difficilmente inquadrabile, al contrario, viene rappresentato da Rodney ed Emily Harris, una coppia di ottuagenari professori, due vecchietti cattivi che sono completamente impazziti, tanto da rapire e uccidere persone per poi mangiarle. E in tal modo spiega Briasco King tratta anche il tema del cannibalismo». Questo è il prossimo futuro ma leggendo Il re di tutti, Briasco ci aiuta a comprendere tutta la genuina unicità di King che si ritrova in più aspetti. Innanzitutto, è un vero lettore e sul suo profilo Twitter fioccano i consigli di lettura, sovente convertiti in fascette editoriali; inoltre, in un mondo editoriale che celebra la serialità e il trionfo dei personaggi che non hanno nulla da dire, Briasco sottolinea come King abbia sfidato e sconfessato le scuole di scrittura. L’autore di Cose preziose e Cujo ha sempre scommesso sull’importanza della storia, l’arte della narrazione pura, «scegliendo di scomparire sulla pagina, evitando di far sfoggio di tecnica fine a se stessa e portando a spasso il lettore dalla prima all’ultima pagina». E ancora, mentre tanti autori creano personaggi cattivi con un trauma da scoprire per provare a comprenderli, King crede che il male sia stupido, ripetitivo e in definitiva, sopravvalutato: i suoi cattivi, «a partire da Jack Torrance di Shining, lo sono nell’essenza, senz’alcuna scusante e ciò lo avvicina alla concezione ottocentesca di Dickens, alla banalità del male formulata dalla Arendt».
LA NARRATIVA
«Infine», continua Briasco, «chi parla di narrativa di genere e costruisce steccati snobistici, dimentica che il figlio del Maine ha sempre riconosciuto di dovere il proprio successo alla madre e alla moglie Tabitha, tanto da averle celebrate con un trittico di titoli al femminile - Il gioco di Gerald, Dolores Claiborne e Rose Madder culminato con la «medaglia d’onore della National Book Foundation per il contributo alle lettere americane», ricevuto direttamente dalle mani del presidente Barack Obama. Alla luce di tutto ciò, continua Briasco, chi lo bolla come il re del brivido, chi ancora oggi lo prende sottogamba e continua stupidamente, diciamolo serenamente a snobbarlo, probabilmente è ossessionato dal successo mondiale di un autore che ha scritto di tutto dai racconti (Sperling&Kupfer ha appena ritradotto Stagioni diverse) alle saghe fantasy, da romanzi struggenti come Cuori in Atlantide, all’horror puro di A volte ritornano, compresa una brillante rilettura della società americana fra storia e fantascienza in 22/11/’63 (già approdato in tv con James Franco) facendo sempre centro e tenendo vivo il legame con i suoi lettori, il suo unico punto di riferimento.
Anziché criticarlo, aggiungiamo, in tanti farebbero bene a leggerlo, recuperando quel puro piacere per le storie e la narrazione che King conosce a menadito. Del resto, un autore che vende 500 milioni di copie e non si dà arie tanto da paragonarsi ad un semplice BigMac, in Italia non si è mai visto». Sarà davvero (solo) un caso?