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 2023  luglio 25 Martedì calendario

Città di vetro, neve nel deserto: il sogno saudita è un incubo

I giochi asiatici invernali del 2029 si svolgeranno in un luogo che ancora non esiste: Trojena, un resort impostato intorno a un lago artificiale, diviso in sei distretti (Esplora, Scopri, Valle, Passaggio, Relax e Divertimento), una nuova mecca degli sport invernali che dovrebbe essere inaugurato nel 2026 e contare 700 mila turisti l’anno entro il 2030. Trojena è solo una piccola frazione di un progetto molto più grande, Neom, una regione, grande più della Slovenia, comprendente una città da 3 milioni di abitanti (che ancora non esiste) che entro il 2030 dovrebbe diventare “una visione di come potrebbe essere il futuro, una destinazione, una casa per le persone che sognano in grande e vogliono far parte della costruzione di un nuovo modello di vita, lavoro e prosperità sostenibili” in mezzo al deserto. Neom – che sta per “Nuovo futuro” – è uno dei cinque “giga progetti” previsti dalla “Vision 2030” di Mohamed Bin Salman, che come diversi autocrati del passato e del presente ha deciso che avrebbe dovuto costruire città e molto di più. E ci sta provando.
I “giga progetti”, finanziati dal fondo d’investimento Pif, sono diversi per valore economico e obiettivi. C’è un progetto per realizzare 200 milioni di metri cubi di nuovi quartieri residenziali; c’è la realizzazione di un nuovo distretto culturale intorno al sito Unesco di At-Turaif. C’è poi il Progetto Mar Rosso, che prevede la creazione di un enorme distretto turistico, con aeroporto, su uno spazio di 28 mila chilometri quadrati (poco meno del Belgio) con 90 “isole incontaminate” dotate di tutti i comfort: incontaminate perché desertiche. C’è poi Qiddiya, il distretto dello sport e del divertimento, con stadi, campi da golf, aquapark, montagne russe, sale giochi e attrazioni d’ogni genere, in un’enorme area nei pressi della capitale Riad. Area, naturalmente, desertica.
E poi, appunto, c’è Neom. Un’intera regione piegata al volere dell’uomo, di cui il resort di Trojena è solo un pezzettino. Gravita intorno al “capoluogo” The Line, una città alta 500 metri e larga 200, ma lunga 170 km, che parte dal Mar Rosso e arriva alle montagne: dietro alle sue vetrate dovrebbe ospitare 3,5 milioni di persone, ma è pensata per arrivare a nove. Il sito ufficiale la definisce “una città cognitiva (…) Un capolavoro architettonico a specchio che si erge a 500 metri sul livello del mare, che ridefinisce il concetto di sviluppo urbano e di città”. Una “rivoluzione” del vivere urbano, secondo i progettisti, dove non sarà necessaria l’automobile, e, naturalmente, a impatto zero e alimentata al 100% da energia rinnovabile. Come tutta Neom, in cui non mancheranno un maxi porto turistico, Sindalah, e uno industriale, la più grande struttura galleggiante del mondo, l’esagono Oxagon, che dovrebbe ospitare 90mila abitanti. Secondo Mohamed bin Salman, Oxagon contribuirà, semplicemente, “a ridefinire l’approccio mondiale allo sviluppo industriale del futuro”. Chi vivrà davvero in questi luoghi e chi li costruirà a tempo record, non è parte del racconto, ma i cantieri a gennaio 2023 sono partiti e per esaudire le promesse dovrebbero procedere a tappe forzate. La propaganda saudita pesca a piene mani dal linguaggio del capitalismo contemporaneo: sostenibilità, chilometro zero, rinnovamento. Parole che, ad esempio, il regno espone con orgoglio alla Biennale architettura di Venezia e che caratterizzano la candidatura per l’Expo 2030 destinata a vincere (vedi il pezzo accanto).
Le voci che hanno sollevato dubbi su questi progetti sono poche, anche perché i board sono zeppi di esperti europei e americani. Greenpeace si è scagliata con forza contro l’assegnazione, l’anno scorso, dei giochi invernali asiatici a Trojena: “Non so nemmeno se abbiamo la capacità di prevedere e modellare” l’impatto di alterazioni così ampie di ecosistemi, aveva detto allora il responsabile regionale Ahmed El Droubi. Giornali, attivisti, ricercatori, occasionalmente hanno mosso dubbi. Certo, gli uomini hanno sempre colonizzato il deserto, portato acqua e vita dove non c’era, dall’Australia agli Stati Uniti. Ciò che impressiona dei piani sauditi non è solo la mole dei progetti, ma il fatto che il regime stia prendendo impegni internazionali di livello intorno al compimento di questi progetti in una manciata di anni. L’ambizione di un autocrate, in un momento di crisi climatica globale, può fare danni anche a molti altri.