La Stampa, 24 luglio 2023
La resistenza di Sánchez
L’autobiografia di Pedro Sánchez si intitola «Manuale di resistenza», è stata pubblicata nel 2018, ma forse occorre aggiungere questo nuovo capitolo. Doveva essere travolto da una valanga di destra, lo hanno chiamato bugiardo, amico di terroristi, nemico della patria, eppure, anche stavolta Sánchez ha resistito e può persino cominciare a pensare di restare alla Moncloa, in compagnia di Yolanda Díaz, la vicepresidente che in diretta tv ha rinfacciato a Santiago Abascal, le risate dei consiglieri di Vox durante la commemorazione di una vittima della violenza di genere.
Nella notte di Madrid tutto è appeso a un filo, nessuno può dire se si potrà formare un governo come quello attuale, le trattative saranno durissime e lunghe, ma la sentenza definitiva che doveva condannarlo sull’altare della superbia e del tradimento della Nazione non c’è stata. Vox esce indebolito, ridimensionato e quasi umiliato. I due obiettivi di Santiago Abascal sono falliti, quello di sfidare i popolari e soprattutto quello di entrare in un governo di coalizione. Altro sogno frustrato è quello di Alberto Núñez Feijóo, voleva guidare la Spagna, ha risollevato i popolari (47 seggi in più rispetto al 2019), ma la sua ascesa alla Moncloa andrà per lo meno rinviata. L’ex governatore della Galizia chiede a Sánchez l’astensione, «per non bloccare il Paese». Lo dice davanti ai militanti sotto la sede della Calle de Génova, ma non succederà. Due chilometri più in là, nella calle Ferraz, cuore del Psoe, si è presentato un Sánchez raggiante, che evitando di entrare in dettagli sul futuro, ha esultato: «Il blocco della reazione è stato fermato». I suoi fanno partire il coro: «No pasarán». Il messaggio è: se c’è da votare ancora, Pedro c’è.
L’aria che si respirava in Spagna da mesi sembrava indicare altro. La destra si era mobilitata come mai, aveva stravinto le elezioni locali di maggio, contro il “Sanchismo” categoria politica, sinonimo di impostura, secondo la propaganda fortissima di buona parte dei mezzi di comunicazione di Madrid. Anche un guasto nella linea dell’alta velocità tra Valencia e Madrid, con i treni pieni di elettori, è stato utilizzato per alludere a un sabotaggio, così come dubbi sono stati avanzati nei confronti della neutralità delle Poste, visto l’enorme numero di elettori che hanno optato per il voto postale. Nei consigli di amministrazione delle grandi aziende si preparava già la nuova stagione della destra. Negli ultimi giorni di campagna elettorale il premier aveva scelto come parola d’ordine “remontada”, poteva sembrare strano, un ribaltamento dei ruoli, lui il premier uscente, diventava lo sfidante. Mentre Feijóo, il leader dei popolari, era il grande favorito. Negli ultimi giorni dal suo staff filtrava improvvisamente ottimismo. Il disastro del confronto televisivo con il rivale sembrava il segno della fine, invece è stata la svolta, un nuovo inizio per una campagna elettorale più pop, che lo ha portato nello studio di un podcast di ragazzini che lo hanno trattato da boomer, ma in fondo lo hanno reso meno freddo e cinico rispetto all’immagine di sempre.
Formare il governo sarà complicatissimo per Sánchez, gli indipendentisti catalani hanno, ancora una volta, in mano la partita, Carles Puigdemont, da Bruxelles, frena. Meno di due mesi fa Pedro era dato per finito, le regionali e le comunali (in Spagna si vota in tutti i Comuni contemporaneamente) avevano dato un segnale chiaro, l’onda di destra nel Paese lo voleva cacciare dalla Moncloa. Il premier ha reagito immediatamente, convocando le elezioni anticipate. La data di scadenza della legislatura, inizio di dicembre, era troppo in là, così Sánchez ha deciso di accelerare, con due obiettivi chiari: obbligare l’ala sinistra della sua coalizione, Sumar, a trovare un accordo con gli ex indignados di Podemos e soprattutto mostrare agli spagnoli, durante la campagna elettorale, gli accordi tra il Partito popolare e Vox nelle giunte locali. Un modo per dimostrare all’opinione pubblica quello che sarebbe successo al governo del Paese, in caso di vittoria della destra. L’azzardo ha funzionato e ha fermato la valanga di destra che stava travolgendo un esecutivo, che pure vantava buoni risultati economici.
Un altro successo di Sánchez si produce in Catalogna. L’egemonia indipendentista è ormai un ricordo, a Barcellona e nelle altre tre province della Comunità autonoma, i socialisti hanno stravinto, anche se dai secessionisti può dipendere il futuro. Qui Sánchez si è giocato molto della sua reputazione, ha aperto un tavolo con la Generalitat, ha concesso l’indulto ai leader indipendentisti rinchiusi in carcere per l’organizzazione del referendum del 2017 e ha riformato il codice penale per eliminare il reato di sedizione. Concessioni che hanno di fatto pacificato la Catalogna, ma gli sono costate l’accusa di tradimento della patria, anche da parte di qualche suo collega di partito. Anche stavolta non avevano fatto i conti con il resistente. «Hasta el rabo todo es toro», fino alla coda è tutto toro, diceva il professore Francisco Vanaclocha, politologo, “taurino” e previdente: «Questo è Sánchez». ©