la Repubblica, 24 luglio 2023
L’addio alla via della sera
NEW YORK – La decisione è presa, nella sostanza. L’Italia non rinnoverà il Memorandum of understanding (MOU) che la lega alla nuova Via della Seta cinese, quando scadrà alla fine dell’anno. La presidentessa del Consiglio Giorgia Meloni ne discuterà con il presidente John Biden durante la visita di giovedì alla Casa Bianca, e gli addetti ai lavori avvertono che «nulla è deciso fino a quando non è deciso». Così però non fanno altro che confermare come l’uscita sia ormai una strada segnata. La premier sta già ricevendo importanti garanzie da parte dell’Unione Europea, per completarequesto percorso senza troppi danni per il nostro paese, e dal leader americano cercherà soprattutto di capire quali sono i margini per lavorare alle alternative, oltre naturalmente alla speranza di ricevere qualche forma di supporto.
La riflessione era in corso da tempo, e già durante l’ultimo vertice del Fondo monetario internazionale, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti aveva chiarito di non aver condiviso il passo dell’allora premier Giuseppe Conte, adoperandosi per svuotarlo di qualsiasi contenuto, anche durante il governo Draghi. La pratica però ha subito un’accelerazione al vertice Nato di Vilnius, quando Meloni ha confermato a Biden la sua determinata scelta atlantista, dall’Ucraina alla Cina. Il presidente allora ha confermato l’invito alla Casa Bianca, che era noto da giorni ai collaboratori più stretti, con l’intesa che la premier lo avrebbe annunciato durante la sua conferenza stampa.
Nel frattempo a Bruxelles erano avvenuti sviluppi che hanno aiutato la scelta di Roma, offrendo un’importante copertura. All’inizio di giugno le autorità dell’Unione Europea hanno raggiunto l’accordo politico sull’Anti-Coercion Instrument (ACI), che secondo il vice presidente esecutivo Dombrovskis «lancia un chiaro segnale ai nostri partner globali che rigettiamo ogni forma di coercizione economica da partedi paesi terzi». I diplomatici lo vedono quasi come l’equivalente economico dell’Articolo V della Nato, che obbliga i paesi a difendere un altro membro aggredito militarmente. Basta sostituire la parola paese aggredito con Italia, e paese aggressore con Cina, per capire cosa significhi. «L’ACI – secondo Bruxelles – è innanzitutto concepito per fungere da deterrente contro qualsiasi potenziale coercizione economica. Sela coercizione ha comunque luogo, l’ACI fornisce una struttura per convincere il paese terzo a cessare le misure, attraverso dialogo e impegno. Se tuttavia l’impegno fallisce, dà anche all’Ue accesso a un’ampia gamma di possibili contromisure contro un paese coercitivo. Queste includono l’imposizione di tariffe, restrizioni al commercio di servizi, e all’accesso agli investimenti esteri diretti o agli appalti pubblici». Dunque se la Cina decidesse di punire l’Italia per l’uscita dalla Via della Seta, l’intera Unione dovrebbe difenderla con ritorsioni potenzialmente molto pesanti. In più Roma avrebbe ottenuto la garanzia che se Pechino cacciasse le nostre imprese, gli alleati europei non cercherebbero di rimpiazzarle, e quindi non ci sarebbero concorrenti tedeschi, francesi o spagnoli pronti ad approfittare delle nostre disgrazie.
Forte di questi impegni che dovrebbero essere ratificati in autunno, ossia prima della scadenza del nostro MOU con la Cina, Meloni andrà giovedì alla Casa Bianca più forte e protetta. Dagli Usa si attende garanzie simili, e magari qualche supporto economico, ma vuole soprattutto capire alla fonte quali sono i margini per tenere aperte le relazioni commerciali con la Repubblica popolare, pur non rinnovando la Via della Seta. Nei giorni scorsi l’ambasciatore all’Osce Mike Carpenter, da anni molto vicino a Biden, ha detto a Repubblica che «la posizione del mio governo non è “decoupling”, ma guardare in modo strategico a come de-risk le relazioni economiche con Pechino, in particolare la catena di approvvigionamento». Quindi ha aggiunto: «Non vuol dire che tutti gli investimenti cinesi vanno fermati col veto, ma spero che i partner italiani ed europei si impegnino con noi per andare avanti con questo spirito». Tradotto dal linguaggio diplomatico vuol dire che Roma, come Washington, può continuare i commerci con Pechino, a patto di sceglierli in maniera più strategica. I diplomatici cinesi in Italia già si lamentano e reagiranno senza dubbio in maniera negativa, ma gli esperti del settore notano che in realtà anche sul piano puramente economico, gli scambi con gli Usa valgono per il nostro paese più di quelli con la Repubblica popolare. Quindi non avremmo neanche una convenienza pratica, a rifiutarci di appoggiare il nostro alleato storico nella risposta alla sfida epocale lanciata dalle autocrazie contro le democrazie.