Corriere della Sera, 24 luglio 2023
La dieta degli dei
Certi miti africani e amerindiani fanno originare donna e uomo da una cottura. Come fossero cibo. Ci ricordano che nelle tradizioni religiose cibo e creazione coincidono. Gli esseri umani e divini si uniscono e si dividono negli alimenti cotti e crudi, nella preparazione e nel consumo, nel digiuno e nella festa, nel prescritto e nel vietato. Nella Grecia classica sale verso l’Olimpo il fumo della bestia sacrificata – agli dèi non serve altro, hanno già nettare e ambrosia – e agli uomini resta la carne. Da Zeus a Vishnu, da Buddha a Maometto, il cibo della religione è la religione stessa: il cibo è «la materia prima della religione», le religioni sono «regimi alimentari sacralizzati».
Partono da qui Elisabetta Moro e Marino Niola nel loro Mangiare come Dio comanda (Einaudi). I due antropologi dell’Università di Napoli Suor Orsola Benincasa imbandiscono per lettrici e lettori una ricca mensa di prove del cibo nella religione, ma il loro libro non si esaurisce nell’elenco, nemmeno nella mappatura. Gli autori mostrano anzitutto le continuità profonde, gli schemi che persistono mentre ne mutano le manifestazioni. È il caso del passaggio del pane, del vino e dell’olio dal pantheon greco-romano al cristianesimo, in quella che Moro e Niola definiscono una «teologia della dieta mediterranea». Così i cereali devono il loro nome a Cerere, la greca Demetra, la «dea madre» signora delle messi, mentre l’olio è sotto il segno di Atena, e perciò i giovani ateniesi sulla soglia dell’età adulta giurano di difendere la patria davanti agli ulivi sacri. Il vino, poi, è il dono di Dioniso, il «dio in fermento» come il succo della vite che è «succo della vita», «bios allo stato nascente ed effervescente».
I cristiani reinventano e perpetuano i tre elementi nel transito «dal simposio alla messa». Se Gesù è «la messe che diventa Messia», i «tre emblemi alimentari del Mediterraneo antico» si trasformano nel corpo, nel sangue e nel crisma di Cristo. Al contempo i cristiani introducono cesure nella trama: mangiano tutto, purché con moderazione e senza dimenticare l’affamato e l’assetato alla porta, e poi sostituiscono il sacrificio finale dell’Agnello di Dio a quelli ripetuti degli agnelli del gregge. In questo il cristianesimo non è il solo caso di un tema fondamentale che persiste mentre muta. Moro e Niola ce lo mostrano mentre srotolano il filo vegetariano che conduce dalla Magna Grecia di Pitagora alla Londra di Gandhi, mentre sfogliano il ricettario che accomuna e distingue il puro e l’impuro di ebrei e musulmani.
Il senso del libro, tuttavia, è ancora oltre: lo incontriamo nell’ulteriore passaggio dal cibo della religione quale sviluppatosi nei millenni alla «religione del cibo» contemporanea. Se infatti ogni religione è un regime alimentare, spiegano gli autori, ogni regime alimentare è una religione, e la nostra religione del cibo contiene a sua volta una continuità e una cesura, perché da un lato ripropone antiche discipline, ma dall’altro pretende liberarsi del divino. Da qui il titolo del volume: vogliamo ancora «mangiare come Dio comanda», anche senza Dio. La nuova disciplina si è staccata da tradizioni e culture e, come il «vegetarianismo», si impone quale «contrassegno identitario di una nuova élite alfabetizzata, metropolitana, ambientalista e globish, uguale a Shanghai come a Stoccolma, a Milano come a New York». «Religione del nostro tempo», il cibo «pesa allo stesso tempo sulla bilancia e sulla coscienza». Ciò vale per la nostra «cibomania», ovvero la «sovraesposizione del piacere, della conoscenza e dell’esperienza gastronomica», ma anche per la nostra «cibofobia», cioè per «l’ipercorrettismo alimentare che demonizza un cibo dopo l’altro».
Qui approda il libro, infine: alla nostra «intolleranza alimentare», non meno integralista di quella religiosa, nella quale «la secolarizzazione e il culto del corpo da una parte e le esigenze di sicurezza e le mode alimentari dall’altra» rimpiazzano salvezza e fede con salute e fiducia. Ora che comanda l’uomo finiamo col trovarci davanti alla stessa alternativa di quando comandava Dio: tra una tavola che divide e una tavola che unisce gli uomini tra loro e l’uomo dentro di sé.