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 2023  luglio 24 Lunedì calendario

Un bagno di Realtà

Vedere Il principe, la docuserie su Vittorio Emanuele di Savoia, lascia inchiodati a una delle più inesorabili leggi della storia umana, in vigore da secoli e forse per i secoli: il privilegio Alfa, quello che mette in fila qualunque altra forma di diseguaglianza e di discriminazione, è quello di classe, che molto spesso è anche di nascita.
La vecchia domanda “come nasce?”, che genitori e zie facevano per capire meglio chi era il fidanzato o la fidanzata che circolava per casa, è indifferente a Costituzioni e Statuti, ideologie e rivoluzioni, fedi religiose e tessere di partito. È istintiva e contiene una specie di cinica sapienza animalesca: nasci bene e sarai bene accolto, nasci male e, per essere accettato, dovrai dimostrarti dieci volte più bravo e più forte dello stigma che grava su di te.
Il solo connotato davvero rilevante, nella vita della persona raccontata, è essere nato Savoia. Disporre di un cognome che, come si dice, “apre le porte” e probabilmente ancora mette soggezione (l’aristocrazia, teoricamente orbata dalla Storia di ogni privilegio istituzionale, è ancora circonfusa da un’aura di deferenza abbastanza inspiegabile) è il solo elemento che possa spiegare non solo lo straordinario esito giudiziario del fatto di sangue accaduto all’Isola di Cavallo, a sud della Corsica, nel 1978, ma anche i numerosi incarichi come mediatore d’affari in quanto “amico dello Scià”, con fior di aziende private e di Stato che si affidarono a questa sua titolarità molto ufficiosa come se fosse un master a Harvard. (Sui biglietti da visita, in genere, “amico della Scià” non è dicitura usuale – farebbe troppo film di Totò).
A Cavallo, dopo una breve lite tra barche attraccate a poca distanza, V.E. esplose a scopo intimidatorio due colpi di carabina, uno dei quali colpì un ragazzo tedesco, Dirk Hamer, che morì quattro mesi dopo per le conseguenze della ferita. Un omicidio probabilmente accidentale che avrebbe comunque condotto qualunque “persona comune” a una condanna. Non lui, che dopo un paio di mesi di carcere preventivo vide lentamente sfumare il rischio di tornare in prigione. Le tre puntate della docuserie di Beatrice Borromeo hanno il pregio di non giudicare, ma semplicemente raccontare. Ne esce il progressivo allentarsi dell’azione della giustizia francese, l’ostinazione senza successo della sorella della vittima, i tanti appoggi (compreso quello della loggia coperta P2) dei quali l’illustre imputato poté godere. Vale ricordare che Gino e Michele, nelle loro Formiche (prima edizione 1991), misero tra le battute comiche “la legge è uguale per tutti”.
La figura di V.E. non è di particolare spicco, nel bene come nel male, e non è dunque di lui che stiamo parlando. Stiamo parlando dell’impressionante permanenza di quel misto di arroganza e di soggezione (l’una complementare all’altra) che indirizza i rapporti sociali sostanziali, ben diversi da quelli formalmente indicati nelle leggi. Nelle leggi, dalla Rivoluzione francese in giù, malgrado le non poche retromarce reazionarie, l’uguaglianza è un dato acquisito, almeno sul piano formale. Siamo tutti cittadini, e nessuna articolazione dello Stato o della burocrazia ci distingue sulla base del livello sociale, della famiglia nella quale siamo nati, del quartiere nel quale siamo cresciuti – tanto meno dei titoli nobiliari, puro vezzo privato di chi li ostenta.
Ufficialmente, in democrazia, ogni singolo individuo è depositario degli stessi diritti e degli stessi doveri. Ma non funziona così. Per niente. E so bene che è totalmente ingenuo farlo notare – s’ode un coro levarsi: ma non lo sai come funziona il mondo? I pensieri ingenui è però utile tenerli a mente, almeno ogni tanto. Aiutano a rimettere in ordine i pensieri, i valori, le priorità. Bisognerebbe, per esempio, inserire o meglio reinserire le discriminazioni sociali nel lungo elenco di quelle oggi molto più studiate e combattute, da quelle di genere e di orientamento sessuale a quelle legate all’aspetto fisico a quelle etniche. Le differenze sociali (differenze di potere e di possibilità legate al reddito, velocità oppure lentezza di certi percorsi, accesso più o meno facile a cure, comodità, protezioni legali) sono di gran lunga ciò che divide maggiormente i destini umani. Cosa che può lasciarci indifferenti (“così funziona il mondo”) o sprofondarci nel pessimismo più nero. Oppure, nel mezzo, possiamo semplicemente averne contezza.
La lotta di classe è un concetto pesante e obsoleto, come le ricette dell’Artusi. Ma un pochetto ogni tanto non guasterebbe.