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 2023  luglio 24 Lunedì calendario

Il M5s difende i salari ma non i collaboratori

«Nel M5s ho visto proporre contratti di due mesi a 1200 euro mensili a videomaker di 60 anni. Altro che salario minimo», racconta al Giornale un ex dipendente dei gruppi parlamentari grillini. Escamotage per licenziare, accordi «tombali», turni massacranti, bonus promessi e mai corrisposti. Basta grattare un po’ sotto l’apparenza del Movimento che difende i lavoratori, in prima linea per il salario minimo, per scoprire una giungla di forzature, precarietà e gestione disinvolta del personale. Il caso dei giornalisti in forza agli Staff Comunicazione di Camera e Senato, ma assunti come impiegati, rivelato dal Foglio il 13 luglio scorso, fa emergere un vaso di pandora di denunce. A parlare sono alcuni ex dipendenti in forza ai 5 Stelle durante l’ultima legislatura. Tutti chiedono l’anonimato, però ci offrono uno spaccato di ciò che accadeva dietro le quinte del partito che più dice di volersi spendere per tutelare i diritti dei lavoratori. Giuseppe Conte (tondo) ha fatto una bandiera del salario minimo legale a 9 euro lordi l’ora. Ma deve fare i conti con la delusione di chi ha lavorato per il M5s. A proposito di accordi «tombali», quello firmato alla fine della scorsa legislatura – con il supporto del sindacato Stampa romana – non è stato l’unico. Anche nel 2020, quando Conte era premier, il M5s aveva provato a regolarizzare la situazione dei tanti giornalisti che lavoravano nei gruppi parlamentari con dei co.co.co. I pentastellati avevano proposto un «tombale» in cui si accettava una cifra tra 1200 e 1300 euro, in cambio della rinuncia a qualsiasi pretesa sugli arretrati. Quindi la proposta della stabilizzazione fino alla fine della legislatura, ma sempre con contratto non giornalistico. «Non ci fecero leggere nemmeno il contratto – racconta al Giornale una ex dipendente – ma la cosa curiosa è che molti di quelli che sono stati assunti non hanno fatto nemmeno in tempo a brindare perché sono stati licenziati dopo i canonici due mesi di prova». Il sospetto è che si sia trattato di «un trucco per fare piazza pulita e cacciare diverse persone non legate politicamente». Il lavoro dei giornalisti del M5s non si è svolto soltanto in Parlamento. Una volta terminata la scorsa legislatura, Conte ha voluto accanto a sé in campagna elettorale gli ex collaboratori dei gruppi. Rivela uno di loro: «Dopo la caduta del governo Draghi, abbiamo fatto una video call con Conte in persona, che ci ha promesso anche un bonus alla fine della campagna elettorale». Un premio mai arrivato, «nonostante scrivessimo tutti i discorsi di Conte e facessimo degli orari massacranti». Anche adesso la situazione non è delle migliori, tra dipendenti contrattualizzati con più strutture e stranezze. Un esempio? «Alla Camera c’è un gemmologo che lavora nella Comunicazione», sospira un giornalista che era a libro paga del M5s.