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 2023  luglio 23 Domenica calendario

Matteotti, non solo martire

Il martirio di Giacomo Matteotti, con la sua tragica esplosione di violenza politica consumata a danno di un rappresentante del popolo eletto in Parlamento, segnò senza alcun dubbio la svolta decisiva dell’ormai irriducibile contrapporsi tra l’Italia in “camicia nera” al potere e quella di un antifascismo frammentato ed avviato solo verso la sterile protesta morale dell’Aventino.
Ecco che la figura del protagonista di quella drammatica vicenda del giugno 1924, giustamente venerato quale simbolo perpetuo della brutalità del regime impostosi per un ventennio in Italia, rischia di perdere la corposità della sua presenza reale nei luoghi, nelle umane relazioni, nelle scelte ideali e culturali, che lo videro operare dalla sua appartata periferia polesana (era nato a Fratta nel 1885) per giungere alle esperienze ai vertici dell’attività politica nazionale.
Stefano Caretti e Maurizio Degl’Innocenti hanno a questo proposito scelto di affiancare ai loro numerosi studi dedicati al ruolo svolto da Matteotti nella storia italiana una sorta di racconto per immagini, affidato ad un album di circa 400 foto, sovente di rara reperibilità, che riescono, con la loro pregnante immediatezza visiva, a ricostruire il senso complessivo di una vita non racchiudibile nella pur nobile fissità del martirologio, ma che anzi in tal modo ben spiega quel percorso di rigoroso impegno civile e di dovere etico capace di giungere al sacrificio supremo.
Intanto, con il richiamo alle origini familiari, in un ambiente ben illustrato di piccola borghesia commerciale, comunque in grado di far studiare i tre figli, con il maggiore Matteo presto impegnato, fino alla sua morte precoce per etisia, in una militanza socialista, di cui trasmise al fratello i valori di impegno politico a fianco delle masse emarginate della società, tanto più in una realtà di agricoltura arretrata e povera come quella polesana.
Giacomo scelse di iscriversi alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna, laureandosi con una tesi in diritto e procedura penale, pubblicata nel 1910, auspicante un’equità giuridica che favorisse il recupero del condannato, in particolare per quanti risultassero ai margini della società. Approfondì i suoi studi attraverso numerosi viaggi nelle principali capitali europee, acquisendo competenze tali da consentirgli di scriverne nelle principali riviste specialistiche (come testimoniano le testate ed i saggi evidenziati) accumulando un’autorevolezza certo in grado di aprirgli la strada verso una futura carriera universitaria.
Ma non era certo questa la strada che più gli stava a cuore, bensì l’ardente ed insopprimibile desiderio di operare a fianco del “suo” proletariato rurale, per favorirne un’emancipazione fatta di crescita collettiva, maturata attraverso l’azione concreta di formazione educativa, di trasmissione di valori etici, di partecipazione dal basso alla conquista delle tappe del necessario processo riformatore della società.
Si trattava, dunque, di svolgere, da socialista (si iscrisse al partito già a tredici anni), con la costante attenzione ai bisogni popolari, compiti amministrativi in vari consigli comunali polesani e, dal 1910, nel consiglio provinciale di Rovigo; nonché favorendo la crescita di circoli, leghe, cooperative, come pure la diffusione dell’impegno scolastico presso il mondo contadino.
Certo, dunque, uomo d’azione proteso con inflessibile serietà al conseguimento degli obbiettivi politici e sociali propri del suo mondo ideale; ma non per questo chiuso alla complessità della vita, come dimostrano le immagini delle sue frequentazioni artistiche, sportive e musicali e soprattutto il suo tenerissimo rapporto affettivo ed intellettuale con l’amata moglie Velia, da cui ebbe tre figli.
Documentatissimo, nelle immagini del volume, il suo rifiuto della guerra e delle scelte di una successiva pace incapace di scongiurare le tensioni internazionali attraverso la formazione, da lui auspicata, degli “Stati Uniti d’Europa”. Fino al suo ingresso, nel 1919, a Montecitorio, dove trasferì a livello nazionale la solidità ideale e l’assiduità di studio e di proposte, realizzata nel suo Polesine, per il quale documentò, pure, i sanguinosi soprusi perpetrati dalla violenza fascista e dal suo “regime del terrore”, attraverso i tanti discorsi d’aula ed il suo Un anno di dominazione fascista.
Davvero palpitante per l’immediatezza cronachistica la presentazione della tragedia (di cui si avvicina la ricorrenza centenaria) riproposta nel volume con la puntuale serie fotografica allora realizzata da Adolfo Porry Pastorel, il riconosciuto fondatore del fotogiornalismo italiano, che ne seppe cogliere la naturale drammaticità della commossa e, ad un tempo, angosciata partecipazione collettiva ad un evento, di cui si avvertiva il profondo significato di fine dello Stato di diritto.