La Stampa, 23 luglio 2023
Intervista a Rita Pavone
«Capisco benissimo cosa significa perdere l’infanzia. A 12 anni mamma mi ha mandato a lavorare in un piccolo laboratorio in piazza Madama Cristina, a Torino, dove stiravo camicie dalle 9 alle 19. Ho tentato di continuare gli studi nei giorni festivi, ma ero talmente stanca che mi addormentavo sul banco. Così ho iniziato a leggere, di tutto, per capire e conoscere il mondo. Sono un’autodidatta». Parlare con Rita Pavone è un’iniezione di energia, la sua vita è una vera avventura, ricca di aneddoti. A quasi 78 anni («anche se me ne sento 30, a volte 28») è ritornata ai live per festeggiare i 60 di carriera con un tour che riprende Pierangelo Bertoli, un verso di A muso duro: «Un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro». Le restano due date: il 10 agosto a Salsomaggiore Terme e il 12 ad Agerola, al Festival dell’Alta Costiera Amalfitana.
Perché questo titolo?
«Un colpo di fulmine. Ne cercavo uno che spiegasse i decenni passati, cosa è accaduto e come è cambiata Rita. Poi ho visto in tv il figlio di Bertoli che cantava questa canzone e ho pensato “sono io": una guerriera che ha sempre combattuto. Ho un forziere di canzoni con le quali potrei vivere tranquillamente ma io non sono una pensionata. Parto da quello che sono oggi e poi faccio uno scivolone verso quello che ho sempre adorato, canto Tina Turner. A vedermi ci sono genitori con figli: è questa la mia grande vittoria».
Ha venduto 50 milioni di dischi in tutto il mondo, è attrice e autrice, merito di suo padre che ha sempre creduto in lei?
«Ha insistito affinché seguissi questa strada, mentre mia mamma voleva che mettessi su famiglia. Io ero demoralizzata perché ero piccolina e mi sentivo giudicata per l’aspetto non per le mie capacità. Così volevo mollare».
Ma lui, all’insaputa di tutti, l’ha iscritta al primo talent d’Italia, Il Festival degli Sconosciuti, ad Ariccia, ideata da Teddy Reno.
«Il problema era come arrivarci a Roma, con quali soldi? Lui faceva l’operaio e mamma la casalinga. Così utilizzò quelli messi da parte per comprare un frigorifero. All’epoca avevamo solo una ghiacciaia. Non le dico che litigata. Ma ricordo ancora la frase di papà: “Penso che la vita di mia figlia valga almeno un frigorifero"».
Ed ebbe ragione.
«Vinsi il concorso, incisi un disco, Enzo Trapani mi volle in Alta pressione. Mi vide Falqui e mi portò a Studio Uno. Nel marzo del ’63 ho ricevuto il mio primo disco d’oro, undici settimane in classifica con Come te non c’è nessuno e, dopo pochi mesi, un secondo disco d’oro per 15 settimane con Cuore. Che anno incredibile».
Si sente una pioniera? A 18 anni era negli Stati Uniti dove le avevano prospettato un futuro da star.
«Sono stata ospite cinque volte all’Ed Sullivan Show, apparendo come terzo nome in cartellone di una puntata dopo Duke Ellington ed Ella Fitzgerald. Sono rimasta nelle classifiche americane per settimane tra i primi venti, cosa che non era mai successo a nessuno. Le artiste straniere, americane o inglesi soprattutto, oltre al canto si destreggiavano come ballerine e attrici. Mi sono sempre ispirata a loro».
Cosa le ha impedito di restate negli Stati Uniti?
«Papà aveva un’altra storia e più mamma stava con me all’estero, più lui era libero di proseguirla. Mia madre era disorientata, sofferente, siamo tornate. All’epoca eri maggiorenne a 21 anni e non potevo decidere da sola. Oggi la capisco ma allora…».
Tra gli incontri storici c’è quello con Elvis Presley.
«Era straordinario, una bella persona. Mi ha regalato un quadro su tela firmato da lui che conservo con cura in casa. È stato sfortunato. Era uno che si drogava di farmaci per stare bene, perché era malato. Come sua figlia e sua madre».
Il rientro in Italia le ha comunque offerto altre possibilità.
«Ho avuto la fortuna di incontrare Antonello Falqui, Lina Wertmüller che mi ha convinto fare Gianburrasca, Leo Chiosso, Renzo Montagnani, il regista Pino Micol, che hanno creduto molto in me. Ricordo come rimasero sconvolti tutti quando imitai Marilyn Monroe in Stasera Rita. Poi Franco Branciaroli mi ha portato a fare teatro classico. Ho alzato ogni volta l’asticella».
L’amore con Teddy Reno quanti problemi le ha causato?
«C’è stato un momento in cui eravamo carne da macello. Io non giudico mai nessuno, ognuno vive la propria vita nella maniera che crede. Noi siamo stati attaccati solo per il gusto di farci del male. Per due o tre anni non venni più chiamata in Rai. Ma il mondo è fatto così e bisogna imparare a fare spallucce».
Intanto state insieme da 55 anni.
«Teddy ha compiuto 97 anni ed è ancora un gran bel tipo. Il nostro matrimonio è stato il treno che non potevo perdere: il successo e gli applausi sono importanti, ma quando la carriera finisce tu devi avere creato qualcosa. Ed io volevo una famiglia. Sono orgogliosa di avere due figli che sono i miei due migliori dischi d’oro».
Lei è stata all’avanguardia anche con l’album «Gemma e le altre», autoprodotto negli Anni 80.
«Noi donne non siamo molto solidali, è difficile fare amicizia, però capita a volte che trovandosi da sole, magari davanti a un bicchierino di troppo, vengono fuori delle verità. Così è nato questo disco al femminile. C’erano brani rockettari, storie sulla diversità, sulla possibilità di innamorarsi di una persona dello stesso sesso o su amori mercenari. Ha avuto recensioni magnifiche, ma non è mai passato per radio. Lo scopriranno quando non ci sarò più».
Oggi quali cantanti le piacciono?
«Della nuova generazione mi piacciono molto Lazza, con cui mi piacerebbe fare un duetto, e Ultimo. Hanno talento, emozionano e cantano, dicendo delle cose. Poi ci sono le belle voci come Mengoni, Giorgia, Elisa».
Il tour doveva finire ad agosto. Invece...
«Abbiamo capito che il progetto funziona e da settembre pensiamo di partire con un calendario di date. Questi concerti sono una sorta di antipasto. Poi nel 2024 non mi dispiacerebbe ritornare a teatro».
Niente pensione, dunque.
«No, almeno fino a quando sentirò il brividino dentro ogni volta che salgo su un palcoscenico. Il giorno che non accadrà più e, mi renderò conto che per me è diventato un lavoro, lo lascerò tranquillamente. Dirò “bye bye”. Sono un po’ come Lucio Quinzio Cincinnato, taglierò l’erba del prato». —