La Stampa, 23 luglio 2023
Perché il governo israeliano sta tentando di fare a pezzi la Corte Suprema del Paese? Perché il presidente Biden dice alla Cnn «questo è uno dei più estremi» governi israeliani che abbiamo mai visto? E perché l’ambasciatore statunitense in Israele ha appena affermato che l’America sta lavorando per evitare che Israele «deragli»?
Ogni volta le persone mi domandano che lavoro faccio, rispondo che sono un traduttore dall’inglese all’inglese. Cerco di prendere argomenti complessi e renderli comprensibili, prima a me stesso, e poi ai lettori ed è ciò che voglio fare qui riguardo a tre domande. Perché il governo israeliano sta tentando di fare a pezzi la Corte Suprema del Paese? Perché il presidente Biden dice alla Cnn «questo è uno dei più estremi» governi israeliani che abbiamo mai visto? E perché l’ambasciatore statunitense in Israele ha appena affermato che l’America sta lavorando per evitare che Israele «deragli»?
La risposta breve a tutte e tre le domande è che per la squadra di Biden il governo israeliano di estrema destra, guidato da Benjamin Netanyahu, è impegnato in un comportamento radicale senza precedenti dietro il paravento della «riforma» giudiziaria che sta indebolendo i nostri interessi comuni con Israele, i nostri valori condivisi e l’importantissima illusione condivisa sullo status della Cisgiordania, che ha mantenuto le speranze di pace vive a malapena.
Se volete avere un semplice sentore della tensione tra gli Stati Uniti e questo governo israeliano guidato da estremisti, pensate che, poche ore dopo che Biden ha accennato a Fareed Zakaria della CNN solo quanto siano “estremisti” alcuni membri del governo di Netanyahu, uno dei più estremisti di tutti, il ministro della sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha detto a Biden di farsi gli affari suoi, che “Israele non è più un’altra stella sulla bandiera americana”.
Carino, vero? Secondo un rapporto del 2020 del Servizio di ricerca del Congresso, Israele ha ricevuto, a partire dalla Seconda guerra mondiale, più aiuti esteri dagli Stati Uniti di qualsiasi paese del mondo, pari a 146 miliardi di dollari, non adeguati all’inflazione. È una bella sovvenzione che avrebbe dovuto meritare un po’ più di rispetto per il presidente degli Stati Uniti da parte di Ben-Gvir, che in gioventù è stato condannato per incitazione al razzismo contro gli arabi.
Oggi c’è un senso di shock tra i diplomatici degli Stati Uniti che hanno avuto a che fare con Netanyahu, il primo ministro israeliano in carica per più tempo in assoluto, e un uomo di notevole intelligenza e talento politico. Trovano proprio difficile credere che Bibi permetterebbe di essere controllato completamente da persone come Ben-Gvir, che sarebbe pronto a rischiare le relazioni di Israele con l’America e con gli investitori globali e che sarebbe pronto a rischiare una guera civile in Israele solo per rimanere al potere con un gruppo di nullità e ultranazionalisti.
Ma questa è la realtà ed è brutta. Decine di migliaia di israeliani difensori della democrazia martedì hanno bloccato strade e autostrade e assediato l’aeroporto di Tel Aviv per dire senza mezzi termini a Netanyahu che, se così pensa di poter spegnere la democrazia in Israele, si sbaglia di grosso.
La rottura tra gli Stati Uniti e Israele nei valori condivisi inizia con il fatto che la coalizione di Netanyahu al governo, che è riuscita a stento ad andare al potere con i margini più risicati di sempre, ha deciso di comportarsi come se avesse ottenuto una vittoria schiacciante e ha proceduto immediatamente a modificare l’equilibrio instaurato da tempo tra il governo e la Corte Suprema, l’unico controllo indipendente sul potere politico.
Questa settimana, Netanyahu e i suoi colleghi hanno iniziato a spingere alla Knesset un progetto di legge che impedirebbe alla magistratura israeliana di usare la dottrina della ragionevolezza, da lungo tempo instaurata nella legislazione israeliana, che dà alla Corte Suprema il diritto di riesaminare e annullare decisioni considerate incaute o non etiche prese dal governo, dai ministri del governo e da certi altri funzionari eletti.
Come ha scritto lunedì David Horovitz, il direttore fondatore del centrista Times of Israel, «Solo un governo propenso a fare qualcosa di irragionevole agirebbe per assicurarsi che la magistratura l’unico freno al potere maggioritario in un paese senza costituzione e senza difesa sancita, inviolabile, della libertà di religione, di parola e di altri diritti fondamentali non possa riesaminare la ragionevolezza delle sue politiche».
Un enorme cambiamento al sistema giudiziario israeliano, ampiamente rispettato, che ha guidato il sorgere di un’importante economia di avvio di imprese, è qualcosa che dovrebbe essere fatto solo dopo uno studio condotto da esperti indipendenti e con un largo consenso nazionale. È così che le democrazie autentiche fanno queste cose, ma non c’è stato nulla del genere nel caso di Netanyahu. Mette in rilievo il fatto che tutta questa farsa non ha niente a che fare con la «riforma» giudiziaria e molto a che fare con un palese colpo di forza da parte di ciascun segmento della coalizione di Netanyahu.
I coloni ebrei vogliono togliere di mezzo la Corte Suprema per poter creare insediamenti in tutta la Cisgiordania e confiscare agevolmente le terre palestinesi. Gli ultraortodossi vogliono togliere di mezzo la Corte Suprema perché nessuno possa dire ai loro figli che devono fare il servizio militare nell’esercito israeliano o alle loro scuole che devono insegnare inglese, matematica, scienze e i valori democratici. E Netanyahu vuole togliere di mezzo la Corte per poter nominare qualsiasi impostore politico voglia nei posti chiave.
Lunedì c’è stata la prima delle tre letture necessarie per l’approvazione del disegno di legge della revisione giudiziaria che il governo di Netanyahu afferma che vuole sia fatta prima che la Knesset sospenda le sedute per l’estate, il 31 luglio. Riuscite a immaginare gli Stati Uniti che modificano la loro Costituzione, in appena qualche mese, senza un serio dibattito nazionale o testimoni esperti o il tentativo del leader nazionale di creare un consenso?
Se le centinaia di migliaia di difensori della democrazia israeliana che hanno invaso le strade ogni sabato per oltre mezzo anno non riescono a impedire che il titano Netanyahu forzi l’approvazione di questo progetto di legge, succederà che, come ha scritto ieri l’altro sull’Haaretz l’ex primo ministro Ehud Barak, «degraderà Israele a una dittatura corrotta e razzista che frantumerà la società, isolerà il Paese» e porrà fine al «capitolo democratico» della storia di Israele.
Lasciatemi fare un esempio molto concreto. Nell’accordo originale di formazione del governo che Netanyahu ha firmato con i suoi partner della coalizione di destra lo scorso anno, ha nominato Aryeh Deri, leader del partito ultraortodosso Shas, ministro dell’interno e della salute e poi, dopo due anni, ministro delle finanze, in alternanza con il leader del Partito Sionista Religioso Bezalel Smotrich.
Deri è stato condannato tre volte per crimini finanziari, per i quali è stato mandato in prigione compresi evasione fiscale e accettazione di tangenti. La Corte Suprema Israeliana, con un voto di 10 a 1, ha dichiarato a Netanyahu, il gennaio scorso, che la nomina a ministro del governo di una persona che ha evaso il fisco e accettato tangenti era «estremamente irragionevole» e «in grave contraddizione con i principi fondamentali che dovrebbero guidare il primo ministro quando nomina ministri».
Netanyahu, anche lui sottoposto a processo per corruzione, vuole neutralizzare la Corte Suprema in modo tale che non possa impedirgli di nominare questo evasore fiscale ministro delle finanze per sovrintendere, tra le altre cose, alle contribuzioni alle casse del Tesoro israeliano dei contribuenti israeliani e americani. Che dite, vi piace la «riforma» giudiziaria?
Ora passiamo agli interessi comuni. Uno degli interessi comuni più importanti di Israele e degli Stati Uniti era l’illusione condivisa che l’occupazione israeliana della Cisgiordania fosse solo temporanea e che un giorno ci sarebbe potuta essere una soluzione a due stati con i 2,9 milioni di palestinesi là. Pertanto, gli Stati Uniti non si devono preoccupare degli oltre 500.000 coloni israeliani che ora sono là. Alcuni rimarranno quando ci sarà un accordo su due stati, altri se ne andranno.
A causa di quell’illusione condivisa, gli Stati Uniti hanno quasi sempre difeso Israele alle Nazioni Uniti e alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja contro varie risoluzioni o sentenze che dichiaravano che non stava occupando la Cisgiordania temporaneamente, ma di fatto stava annettendola permanentemente.
Questo governo israeliano ora sta facendo del suo meglio per distruggere quell’illusione tesa a guadagnare tempo. Da quando ha giurato assumendo il potere in dicembre, Netanyahu ha approvato oltre 7.000 nuove unità abitative, in gran parte in mezzo alla Cisgiordania. Il governo ha anche emendato una legge per consentire ai coloni non autorizzati di ritornare ai 4 insediamenti da cui l’esercito israeliano li aveva allontanati, rompendo l’impegno preso con il presidente George W. Bush a non farlo.
In marzo, Smotrich, il ministro delle finanze di Netanyahu, ha dichiarato che «non si può parlare di palestinesi perché non esiste un popolo palestinese». Il partito di Smotrich si oppone alla creazione di uno Stato palestinese ed è in favore dell’annessione.
La costante distruzione da parte di Netanyahu di questa illusione condivisa ora sta ponendo un problema reale per altri interessi condivisi da Stati Uniti e Israele. Minaccia la stabilità della Giordania, un interesse vitale per gli Stati Uniti e Israele. Sta portando gli stati arabi, che si sono uniti a Israele negli accordi di Abramo, a fare un passo indietro. Sta offrendo ai sauditi l’occasione reale di fermarsi per riconsiderare l’avanzamento della normalizzazione con un regime israeliano così imprevedibile.
E sta costringendo gli Stati Uniti a scegliere. Se il governo di Netanyahu si comporterà come se la Cisgiordania facesse parte di Israele, allora gli Stati Uniti dovranno insistere su due cose. Prima di tutto, che l’accordo di esenzione dal visto che Israele vuole dagli Stati Uniti che consentirebbe ai cittadini israeliani di entrare negli Stati Uniti senza un visto, compresi gli oltre 500.000 coloni israeliani che vivono in Cisgiordania dovrebbe valere anche per tutti i 2,9 milioni di palestinesi della Cisgiordania. Perché no? Perché un colono israeliano nella città di Hebron in Cisgiordana dovrebbe ottenere l’ingresso senza visto negli Stati Uniti e un palestinese di Hebron no, principalmente quando questo governo israeliano sta effettivamente affermando che Hebron appartiene a Israele?
Perché gli Stati Uniti dovrebbero continuare a difendere l’idea, alle Nazioni Unite e alla Corte Internazionale, che Israele sta occupando la Cisgiordania solo temporaneamente e quindi non vi sta praticando una qualche forma di apartheid quando questo governo israeliano sembra apertamente, fortemente, determinato ad annettere la Cisgiordania e ha dato a due dei più attivi annessionisti, Smotrich e Ben-Gvir, ampi poteri in materia di sicurezza e finanze sugli insediamenti in quella regione?
Isaac Herzog, presidente israeliano molto rispettabile e moderato, che ha implorato la coalizione di Netanyahu di fare un passo indietro e di non forzare nessun cambiamento nella magistratura e di farlo solo con il consenso nazionale, incontrerà Biden a Washington la prossima settimana. È il modo di Biden di segnalare che il suo problema non è il popolo israeliano, ma il governo estremista di Bibi.
Ma non ho alcun dubbio che il presidente degli Stati Uniti equipaggerà il presidente israeliano con il messaggio dovuto al dispiacere, non alla collera che, quando gli interessi e i valori di un governo degli Stati Uniti e di un governo israeliano divergono così tanto, una revisione della relazione è inevitabile.
Non sto parlando di una revisione della nostra collaborazione militare e di intelligence con Israele, che rimane forte e vitale. Sto parlando del nostro approccio diplomatico di base verso un Israele che sta sfacciatamente bloccando in posizione una soluzione con uno stato unico: solo uno stato ebraico, con il destino e i diritti dei palestinesi da definire.
Tale revisione basata sugli interessi e sui valori statunitensi sarebbe una strigliata per Israele, ma una necessità reale prima che deragli davvero. Che Biden sia preparato ad affrontare Netanyahu prima delle elezioni americane del 2024 suggerisce che il nostro presidente ritiene di avere il sostegno non solo della maggior parte degli americani in questo, ma di gran parte degli ebrei americani e perfino di gran parte degli ebrei israeliani. Ha ragione su tutti e tre. —