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 2023  luglio 23 Domenica calendario

Biografia di Barbara Bouchet

rima dei 25 anni, Barbara Bouchet aveva già girato una ventina di film a Hollywood «di quelli dove stai in bikini o fai la bella ragazza», minimizza lei, però la bella ragazza vicino a divi come Marlon Brando e, comunque, aveva fatto una parte anche in James Bond 007 Casino Royal e una in Star Trek. Prima ancora, era nata cecoslovacca sotto le bombe, aveva vissuto da profuga e aveva poi raccolto cotone nelle piantagioni della California. Dal 1969, vive a Roma e in Italia è stata la star del cinema sexy degli anni ’70 e ’80, un’icona per molti, anche per Quentin Tarantino che da ragazzo si prese una cotta a distanza. Oggi, Barbara, 79 anni il 15 agosto (non 80 come dicono le biografie) è ancora splendida e ha due nipoti e due figli, Alessandro Borghese, lo chef, e Massimiliano.
Come e quando decide si stabilirsi in Italia?
«Quando ho girato Colpo rovente, nel 1979, le offerte sono piovute e mi sono detta: ma chi ci torna in America? Qui ero una delle poche, lì per un ruolo c’erano tremila attrici tutte come me».
Ovvero, spettacolarmente belle. Lei quando ha capito di esserlo?
«Mio padre era fotografo. A San Francisco riprendeva comunioni e matrimoni e, per altri lavoretti, mi usava come modella. Poi, a 14 anni ho vinto il concorso in costume da bagno Miss China Beach, mi ci portò una signora che mi aveva fermato fuori dalla sua palestra e che da lì mi fece girare per concorsi, li vincevo tutti: Miss Fotogenia, Miss Sorriso... E così, da qualche parte, mi spuntò nella testa l’idea che ero bella. A 15 anni, andai a trovare un’amica a Los Angeles e a casa non tornai più: l’aria non era delle migliori, eravamo cinque figli, di soldi ce n’erano pochi e i miei genitori non si sopportavano più, litigavano sempre. Io mi iscrissi alla Hollywood Professional School per aspiranti attrici e intanto vendevo pollo fritto, scarpe, qualsiasi cosa. Così, cominciarono i piccoli ruoli, il primo in Fammi posto tesoro, con Doris Day e James Scarner».
Oggi, è difficile immaginare una quindicenne che se la cava da sola.
«Non me ne sono resa finché mio figlio ha avuto 15 anni e ho pensato: mamma mia, ero una bambina, se Alessandro scappasse a andasse a New York, sarei isterica. Però io avevo vissuto molte più cose di una quindicenne di oggi: sono nata che mio padre era al fronte, con mamma e i nonni fummo cacciati dai russi e andammo dalla zia in Germania, perché mamma era tedesca. Poi, papà trovò un lavoro a Monaco di Baviera, avemmo finalmente una casa decente. Prima, noi cinque figli, dormivamo tutti insieme. Ma mamma aveva la fissa dell’America».
Sognava la fortuna Oltreoceano?
«Papà la amava talmente tanto che accettò di partire anche se ci eravamo appena sistemati. Arriviamo in estate nella vallata più calda della California, io avevo 12 anni. Raccogliamo cotone per due anni per ripagare il viaggio. Dopo, a San Francisco, mio padre faticava a sfamare la famiglia e quasi odiava mia madre per averlo costretto a emigrare. Quando fotografava i matrimoni, nascondeva il cibo nel cappotto e ce lo portava».
Da sola a Hollywood che pericoli ha corso?
«Pochi. Qualche corteggiatore. Sa il famoso MeToo? Ma basta che dici no ed è no. Poi, a Hollywood ho iniziato abbastanza bene, ho fatto 007, What a way to go con Shirley MacLaine, Paul Newman, Robert Micthum, Bedtime Story con Marlon Brando e David Niven, Kelinda in Star Trek, Sweet Charity... Avevo possibilità di carriera, ma c’era un signore grande che mi corteggiava. Al primo appuntamento, si presenta con una parure di zaffiri e io: questa roba non la metterei mai. E rifiuto. La seconda volta, porta rubini. E io, di nuovo: questa roba non mi piace. Cercava di comprarmi, non ci è riuscito. Finché si è incavolato di brutto e ha detto che mi rovinava la carriera. Solo che l’amico che me lo aveva presentato aveva omesso di dirmi che era l’avvocato della mafia. Ho fatto la valigia in quattro e quattr’otto e sono scappata a New York. Lì, non c’era cinema, solo moda ma degli italiani di passaggio cercavano un’americana per un film: chiesi solo quando si partiva, sarei andata anche se si fosse trattato di Mickey Mouse».
In Italia, esplose.
«Pensi che nel ‘72 girai undici film».
Non la imbarazzavano le scene sexy?
«Sono cresciuta in una famiglia in cui noi figli stavamo tutti nudi nella stessa stanza, non ho quel senso del pudore. E poi erano ruoli, era come dire: non ti dà fastidio fare l’assassina? I film per me volgari o morbosi, però, li rifiutavo: rifiutai La chiave di Tinto Brass, che fece Stefania Sandrelli e Histoire d’O che fece Corinne Clery».
Altri no decisivi?
«Il mio ruolo più importante fu nel ’65 nella Prima Vittoria di Otto Preminger, moglie di Kirk Douglas. Ma Preminger mi scritturò nella sua scuderia e poi mi disse che per due anni non ci sarebbero stati ruoli per me e si rifiutò anche di darmi in prestito al produttore Charles K. Feldman. Me ne andai, a costo di pagare la penale e ritrovarmi senza lavoro. Destino vuole che capiti al Festival di Cannes. Un produttore italiano mi invita a parlare di lavoro nella sua villa. Sapevo che aveva una compagna, quindi non fiuto pericoli e vado. Ma la signora non c’era. Lui mi chiede: come sta il fisico? E io: benissimo, grazie. Si aspettava che aprissi la camicetta. Al che mi fa: sarà il regista a decidere. Mi congeda e mi manda a Londra da Michelangelo Antonioni».
Non ci avrà provato anche Antonioni?
«Gli chiedo di che ruolo si tratta, lui mi guarda con il tic che aveva, muovendo sempre la testa, e dice: sono molto stanco ora. Arrivederci e grazie. Però in aeroporto, ero stata avvicinata proprio da Feldman, il produttore al quale Preminger mi aveva negata. Be’ l’ho chiamato e ho fatto Moneypenny, la segretaria di 007, con Niven, Peter Sellers, Woody Allen. Ci abbiamo messo un anno e mezzo e girarlo».
Cosa ricorda di quel set?
«I soldi buttati dalla finestra. Le scene venivano fatte, riscritte, rifatte. E Niven: l’attore con cui ho lavorato meglio, un gentleman, divertente da morire. Sono diventata amica anche della moglie. Stavo benissimo. Giravamo a Londra, mi mancava solo il sole. Ma il giorno in cui è spuntato, mi sono sdraiata in costume a Hyde Park e sono stata arrestata».
Chi l’ha corteggiata dei compagni di set?
La famiglia emigrata
Da Monaco di Baviera ci trasferimmo a San Francisco. Per ripagare il viaggio raccogliemmo cotone per due anni Papà si mise a fare il fotografo di matrimoni
«Ma no, nessuno. William Shatner, il capitano Kirk di Star TreK, ma quando me lo trovai fuori dalla roulotte senza toupet non lo riconobbi. Ci sono andata a cena, niente di che».
I giornali di fine anni ‘60 la davano fidanzata con Omar Sharif.
«Mi ero scordata, ha ragione! Vado a vivere da lui a Parigi e dice: mi raccomando, devi curare la casa, non voglio quadri, oggetti, niente in giro. E io: e che è? Un ospedale? Ho retto poco perché lui stava sempre a giocare al casino e io a casa. In Italia, iniziava la mia carriera, al che ho lasciato un biglietto e me ne sono andata».
Ha lasciato altri uomini in modo così netto?
«Steve McQueen. Ho vissuto con lui a Malibu, tutte le mattine arrivavano amici in moto per fare colazione a casa nostra e io in cucina a fare uova, bacon, patate. Mi dissi: non è la mia vita».
Pure con Steve McQueen un biglietto e via?
«Certo. A me piace recitare, non cucinare».
Altri sedotti e abbandonati?
«Vabbè... Il Tarzan della serie tv, Ron Ely. Lo incontro sul set in Messico, alto quasi due metri, seminudo, un fisico bello come il sole. Finché siamo stati ad Acapulco, mi piaceva, poi l’ho visto vestito a Los Angeles ed è passato l’incanto».
L’ italiano più bello con cui ha lavorato?
«Marcello Mastroianni. Era appena finita la storia con Catherine Deneuve, era triste. La mattina, veniva sul set di Per le antiche scale di Mauro Bolognini, accendeva il giradischi e sentiva Bella senza’anima. Tutte le mattine».
Il più simpatico?
«Ugo Tognazzi. Sul set di Anatra all’arancia con Monica Vitti, mi usava per farle gli scherzi, mi chiedeva di cambiare le battute per coglierla di sorpresa».
Perché a un certo punto lascia il cinema?
«Mi ero sposata, io e mio marito Gigi Borghese siamo stati insieme 36 anni, mi aveva conquistata con la simpatia. Nel ’76 era nato Alessandro e io, prima dei 40 anni, ho smesso perché non volevo che fossero gli altri a mandarmi via. Ho pensato: torno fra dieci anni. Facevo la mamma e ho importato in Italia l’aerobica alla Jane Fonda, con corsi, Vhs. Poi, per il rientro al cinema, di anni ne sono serviti venti. Però il rientro l’ho fatto con Martin Scorsese in Gangs of New York. Lui fece anche un Natale a casa mia con la moglie e la mia famiglia».
Diceva che non sa cucinare, ma Alessandro da chi ha preso la passione per i fornelli?
«Dal padre. Io non amo nemmeno mangiare: ho sempre avuto scarso appetito. Per mio figlio, non è piacevole: lascio sempre metà piatto».
Dopo il divorzio, si è più innamorata?
«Credevo che avrei avuto la fila alla porta, ma non c’era nessuno. I corteggiatori mi considerano un trofeo e a me non piace fare il trofeo. Non capiscono che dietro Bouchet c’è Barbara».
Che cosa vuole ancora dal futuro?
«Una serie tv alla Grace and Frankie, con Corinne Clery: siamo amiche, ci prendiamo molto in giro. Saremmo perfette insieme. Diciamo che mi aspetto che i produttori capiscano che anche le donne della mia età vogliono vedersi rappresentate al cinema e nella tv».
Una decina d’anni fa, Quentin Tarantino volle incontrarla al Festival di Venezia.
Star Trek
Fui corteggiata sul set
da William Shatner,
il capitano Kirk. Ma quando poi me lo trovai fuori dalla roulotte
senza toupet, non
lo riconobbi nemmeno
«Lo chiese al direttore, vado, mi vede e strilla: yeah. Passiamo due giorni insieme, poi mi dà un appuntamento e non si presenta. Penso: chi si crede di essere? Tempo dopo, mi chiama il regista Francesco Vezzoli, dice che deve girare un corto su Caligola e che Quentin farà Caligola solo se io faccio la moglie. Vado a Los Angeles, provo trucco, costumi e, il giorno prima del ciak, Quentin lo chiama e dice che non viene perché è troppo ingrassato. Insomma, un maleducato. Ma fa niente: grazie a lui, pure a una certa età, ho guadagnato un sacco di fan in tutto il mondo».