Corriere della Sera, 23 luglio 2023
Quelle lezioni da recuperare sull’esercito comune europeo
Negli scorsi giorni Henry Kissinger ha detto che nel giro di due anni vi sarà una nuova guerra mondiale. A un lettore che mi ha chiesto un commento, rispondo che Kissinger potrebbe avere detto quelle parole, anzitutto, per restare sul palcoscenico. Ma è certamente possibile che la profezia si avveri e che i due maggiori nemici siano gli Stati Uniti e la Cina. Entrambi sono ambiziosi e orgogliosamente convinti della loro forza, ma non sono privi di esperienza e saggezza. Gli osservatori internazionali, intanto, li terranno attentamente sotto i loro occhi e potranno avere sulle loro decisioni una influenza positiva.
Un altro lettore, invece mi ha chiesto quale sarebbe in quelle circostanze la politica estera dell’Italia. Qualcosa di simile era già accaduto verso l’inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso quando molti osservatori internazionali seguivano attentamente le peripezie della diplomazia italiana in una fase in cui il centro-destra del sistema democratico nazionale si stava trasformando nel centro-sinistra di Pietro Nenni e Giuseppe Saragat, con la cauta benedizione della Democrazia Cristiana.
Le ultime vicende della politica internazionale hanno avuto anche l’effetto positivo di risvegliare, insieme alla intera politica europea, il mondo delle comunicazioni suscitando l’interesse di corrispondenti, commentatori e saggisti. Alberto Cavallari aveva pubblicato con Garzanti «La Cina dell’ultimo Mao»; Piero Ostellino diede all’editore Rizzoli «Vivere in Cina», Francesco Sisci ha pubblicato con Ponte alle Grazie «Chi ha paura della Cina». Letti all’estero questi libri daranno l’impressione che l’Italia abbia una ambizione: divenire una sorta di osservatore, se non addirittura arbitro imparziale, tra l’Europa e la Cina comunista.
Ma è meglio ricordare che molto sta cambiando. La Chiesa sta amministrando perfettamente se stessa, ma la sua influenza sulla politica estera dei Paesi tradizionalmente cattolici è andata progressivamente diminuendo. Tutte le maggiori potenze europee (Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Russia e Spagna) hanno perduto l’autorità di cui avevano goduto in tempi diversi. Vi è un’utile e rispettabile Unione europea, ma ogni suo membro ha un esercito che è paradossalmente, per le sue dimensioni, la prova visibile e tangibile della sua debolezza. La creazione di un esercito europeo fu lungamente discussa e il suo padrino italiano fu Carlo Sforza, ministro degli Esteri dal 1947 al 1951 (morì nel 1952). Vi fu un momento, all’inizio degli anni Cinquanta, quando la creazione all’esercito europeo sembrò essere anche in Italia a portata di mano. Accadde dopo la nascita di altre istituzioni europee fra cui la Ceca (Comunità europea per il carbone e l’acciaio) e la Comunità politica europea. Ma vi erano sempre, al vertice dei singoli Stati e anche in Italia, personalità resistenti o esitanti, se non addirittura totalmente ostili. Sono quelle che prevalsero nell’Assemblea nazionale francese il 30 agosto 1954, quando l’Europa militare finì negli archivi delle cancellerie. È sopravvissuta invece, con molti progressi, l’Unione europea; ed è giunto il momento in cui si dovrebbe mettere all’ordine del giorno la creazione di una Unione militare.