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 2023  luglio 23 Domenica calendario

Quando «stecca» il direttore d’orchestra

«Non c’è alcuna espressione del potere più evidente dell’attività del direttore d’orchestra». In «Massa e potere», Elias Canetti dedica pagine memorabili ai compiti della direzione d’orchestra, come se ogni strumento rappresentasse un’idea che va armonizzata. Mi sono tornate in mente pensando alla risibile trovata di Alberto Veronesi che ha diretto bendandosi gli occhi per non vedere una Bohème «sessantottina». O a Beatrice Venezi che in Francia è stata stoltamente contestata «quale novella neofascista italiana» da, dice lei, «quattro gatti (e aggiungo miserabili) di sinistra» e ignorata dalle autorità per avere eseguito il pucciniano «Inno a Roma», caro al Duce.
In «Prova d’orchestra» Federico Fellini si abbandona sconsolato all’allegoria: ogni orchestrale pensa a sé stesso, creando un frammentato e spesso interrotto aggregarsi di suoni, gesti, accordi, finché una enorme palla demolisce un muro della sala. Solo in una situazione d’emergenza, la prova d’orchestra cerca di ritrovare sinfonia nelle mani del direttore. Invano.
Ci sono direttori carismatici che parlano poco ma sanno farsi ascoltare, altri invece strepitano e urlano per trovare un’unità organica. Per parafrasare Fellini, a volte l’orchestra è come un Consiglio dei Ministri inquieto e disarmonico in cui il direttore è condannato a ripetere: «Signori, da capo!».