Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  luglio 23 Domenica calendario

Reportage da Odessa

In tempi normali questa per Odessa è la stagione del tutto pieno sulle spiagge. Ma questi non sono tempi normali. E ora Odessa è nell’occhio del ciclone, le sirene degli allarmi aerei preludono a forti deflagrazioni anche nel centro come non accadeva più da almeno un anno. Dopo l’attacco al ponte di Kerch i droni e missili russi hanno ripreso a colpire i porti ucraini. Putin agita l’«arma» del grano. I prezzi sul mercato mondiale hanno ripreso a lievitare: per l’Onu il «ricatto della fame» riguarderà 400 milioni di persone.
ODESSA Entrando in centro città con l’autostrada a quattro corsie che la collega con Kiev, la prima impressione è che sia cambiato poco. I caffè sono affollati, c’è chi fa jogging, i negozi sono aperti come ormai era consueto da dopo le prime settimane di panico all’inizio della guerra l’anno scorso. Si nota però che il traffico è più rado, non ci sono ingorghi. E proseguendo verso il polmone verde di parco Shevchenko, che sovrasta il porto e domina la zona balneare più antica, la sensazione di vuoto diventa più palpabile: non solo mancano le auto, anche i pedoni sono molto pochi. In tempi normali questa per Odessa è la stagione del tutto pieno sulle spiagge, la gente si riversa nei viottoli ombrosi per raggiungere a piedi il mare, il parco diventa il preludio della giornata balneare.
Ma questi non sono tempi normali. In mare non si può fare il bagno dal 6 giugno, quando l’onda sporca della piena causata dall’attacco russo contro la diga di Nova Kachovka ha inquinato il vicino estuario del Dnipro.
«Non scappo più»
E ora Odessa è nell’occhio del ciclone, le sirene degli allarmi aerei preludono a forti deflagrazioni anche nel centro come non accadeva più da almeno un anno. Seduta di fronte al suo negozio d’abbigliamento femminile Holala la 37enne proprietaria Julia Iumasheva indica il luogo delle esplosioni più vicine. Dice: «Andate a vedere. È successo l’altra notte. Un boato terribile poco prima delle tre, ho sentito tutti i vetri del caseggiato andare in frantumi. Ho pensato di prendere mia figlia 17enne Diana e scappare all’estero, come avevo fatto all’inizio della guerra andando profuga in Polonia. Ma poi la mattina dopo c’era il sole e ho scelto di restare. Putin e i suoi generali possono andare a farsi fottere, non avranno la mia ritirata. Certo che voglio la pace, ma non possiamo ottenerla senza combattere. Restare è il mio piccolo gesto di resistenza contro gli invasori».
Lunedì prima dell’alba gli ucraini hanno colpito il ponte di Kerch, che collega la Crimea occupata dai russi alla zona di Rostov, e poche ore dopo Putin ha deciso di porre fine agli accordi per l’export del grano ucraino attraverso il Mar Nero.
Da quella sera i droni e missili russi hanno ripreso a colpire metodicamente notte e giorno i porti ucraini, compresi silos sia pubblici che di aziende private e infrastrutture che garantivano l’export via mare. La sola regione di Odessa è stata presa di mira quotidianamente: in tutto i russi hanno sparato un’ottantina di missili e un centinaio di droni, che hanno causato alcuni morti e decine di feriti civili.
La fame come arma
I prezzi del grano sul mercato mondiale hanno ripreso a lievitare: restano più bassi del momento di crisi l’anno scorso, ma già i responsabili Onu parlano di «ricatto della fame» da parte di Putin per quasi 400 milioni di persone. La marina russa minaccia adesso di affondare qualsiasi nave che si avvicini ai porti ucraini. E lo stesso fanno i comandi di Kiev nei confronti di quelle dirette ai porti nemici. L’Onu annaspa.
Nelle ultime ore il presidente turco Erdogan aveva ribadito l’intenzione di parlare direttamente con il «mio amico Putin» per cercare di salvare l’accordo sul grano, che lui stesso aveva mediato l’anno scorso e che resta in realtà l’unico successo diplomatico dal 24 febbraio 2022. Ma ieri la situazione è tornata molto tesa, dopo che gli ucraini hanno colpito un grande deposito di munizioni in Crimea, l’incendio ha costretto le autorità locali ad evacuare migliaia di civili e soprattutto pare sia stata investita di nuovo l’area del ponte di Kerch, dove sarebbe stata chiusa l’unica corsia rimasta funzionante oltre alla linea ferroviaria. A Odessa si attende la rappresaglia: tutti gli accessi al porto sono sbarrati.
Tensione crescente
Trecento metri oltre le vetrine dello Holala, proprio alla fine di via Kanatna, dove l’area delle vecchie palazzine confina con i recinti del porto commerciale, ecco il luogo dell’impatto. «Due missili a lunga gittata sparati dalla flotta russa hanno centrato gli uffici della Vostok, la banca locale dove lavoro da tre anni. Ci sono dieci feriti. Ed è morto il guardiano notturno, un ragazzo di vent’anni che mi sorrideva ogni mattina, stanno facendo il suo funerale proprio adesso. Ma non posso andare, ho la consegna di ricevere i clienti e indirizzarli alle altre filiali», spiega Yana, una 24enne che sta seduta dalle nove alle diciotto ad un traballante tavolino una decina di metri dalle macerie. Confessa di avere paura. «Sicuramente i russi spareranno ancora. E noi siamo a rischio totale. Qui vicino hanno anche danneggiato il vecchio Hotel Odessa. Prima almeno durante il giorno stavamo tranquilli, sparavano solo di notte, adesso avviene a tutte le ore».
Alle sue spalle c’è Vladimiro, impiegato quarantenne di un’agenzia che si occupa di assicurare e organizzare le navi cargo che operano con l’estero. «Accanto alla banca c’erano i nostri uffici e quelli di una grande compagnia turco-ucraina specializzata proprio nell’export del grano. I nostri affari erano precipitati appena dopo l’invasione russa.
Il porto di Odessa era morto nella primavera 2022, le navi non potevano muoversi, c’era il problema delle mine e il timore costante che Putin potesse inviare i suoi battaglioni scelti per catturare la città sbarcando sulle spiagge. La situazione invece era drasticamente migliorata dopo l’accordo sul grano. Gli affari giravano bene. Non che i russi non sparassero sulla città, più volte hanno colpito le centraline elettriche e il sistema idrico, però risparmiavano la zona del porto. Noi qui ci sentivamo relativamente sicuri. Ora non più», racconta mostrando le insegne con i nomi delle due compagnie: Alka-Crewing e Uniship-Crewing.
Cantine come rifugio
Nell’abitazione vicina Angela e Vitali, una coppia sulla cinquantina, stanno cercando di riparare i danni, hanno già sistemato i vetri delle finestre e ora si occupano di migliorare l’accesso alla cantina. «Non pensavamo che sarebbe servita come rifugio. Se vogliamo restare dobbiamo attrezzarci», spiegano.
Meno preoccupati sembrano invece i proprietari della piccola compagnia di trasporti nella strada parallela. Possiedono una decina di camion, che adesso viaggiano tutti i giorni per portare il grano ai porti minori che l’Ucraina sta attrezzando sul Danubio. Spiegano: «I russi sparano sui ponti per bloccare il traffico, ma lo Stato fa del suo meglio per ripararli subito, possiamo ancora vincere la guerra del grano».