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 2023  luglio 22 Sabato calendario

Le incognite sul voto del 2024

All’inizio del 2016, si ironizzava sull’eventualità che, nel referendum di giugno, il Regno Unito votasse per uscire dall’Unione europea e che, a novembre, Donald Trump fosse eletto presidente degli Stati Uniti. Sembrava impossibile, ridicolo. Da allora, il mondo si è abituato a sorprese apparentemente irreali, anche in politica. Il 2024 potrebbe essere la ripetizione dell’impensabile 2016: ci sono appuntamenti elettorali che hanno la potenzialità di cambiare gli eventi del mondo. Probabilmente lo faranno.
Gli effetti del nervosismo che li accompagna si sentono già oggi: l’approccio tiepido mostrato da Joe Biden al recente vertice di Vilnius sull’adesione dell’Ucraina alla Nato, per esempio, è innanzitutto un calcolo interno, nazionale, del presidente di fronte al probabile nuovo confronto con Donald Trump alle elezioni del novembre 2024. E tutta la politica americana si sta posizionando per quell’appuntamento. Ma l’anno prossimo non saranno solo gli Stati Uniti ad affrontare tornate elettorali che possono segnare svolte globali. In Europa si voterà per il Parlamento di Strasburgo, a Taiwan per il nuovo presidente, in Russia per la riconferma di Vladimir Putin, in India per un possibile terzo mandato a Narendra Modi.
A Washington è in corso lo scivolamento di una parte del Congresso sull’appoggio all’Ucraina.
L a settimana scorsa, una proposta per proibi re tutta l’assistenza americana a Kiev ha raccolto 70 voti repubblicani, quasi un terzo dei membri del partito della Camera dei Rappresentanti. Trump, lanciato nella corsa per tornare alla Casa Bianca, accusa Biden di rischiare la terza guerra mondiale con il suo sostegno all’Ucraina. C’è un vento diverso rispetto a un anno fa e il presidente in carica frena (in parte) sull’appoggio a Zelensky, preoccupato che la stanchezza per il sostegno agli ucraini lo penalizzi nelle presidenziali dell’anno prossimo: nelle democrazie, la politica estera conta ma i voti si prendono sui temi locali, nazionali. Il possibile ritorno di Trump alla guida degli Stati Uniti – da molti ritenuta impossibile... come nel 2016 – crea già nervosismo tra gli alleati, non solo per il rischio che l’Europa si trovi più sola di fronte all’aggressione russa. Un nuovo mandato a Trump sconvolgerebbe con ogni probabilità l’intero Occidente in più dimensioni: nelle alleanze che salterebbero, nella difesa della democrazia del Paese che ne è stato il faro, nei commerci internazionali, nell’economia mondiale più chiusa e sempre più frammentata.
Nei governi della Ue come in quelli asiatici, le elezioni presidenziali americane sono già oggi un evento che crea nervosismo e frena nuove iniziative. E nei prossimi mesi sarà peggio. A giugno, inoltre, le elezioni per il Parlamento europeo potrebbero portare a un cambiamento di alleanze a Bruxelles e nell’intera Ue. Già ora, le manovre per una possibile nuova maggioranza, con una prevalenza possibile dei popolari e dei conservatori sulla sinistra, stanno mobilitando i partiti, compresi e forse soprattutto quelli italiani. Nuove dinamiche anche nel Vecchio Continente.
Prima di tutto, però, si voterà a Taiwan, in gennaio: per la carica di presidente si affrontano una coalizione decisamente ostile alla politica di annessione dell’isola a Pechino e una che punta a migliorare i rapporti con la Cina di Xi Jinping. Il Partito Comunista Cinese agisce, con minacce accompagnate da blandizie, per favorire la vittoria del candidato pro-Pechino. Ma, qualsiasi sarà il risultato, intensificherà la pressione sull’isola affinché ceda e apra un tavolo per discutere la sua annessione alla Cina Popolare; con le buone o con le cattive, come ha chiarito più volte Xi. Anche a Taiwan buona parte del voto sarà determinato da faccende domestiche. Il risultato, però, farà onde alte nello Stretto che la separa dalla Cina continentale, e nel mondo, che sin da ora si prepara a un aumento della tensione.
Le previsioni sulle elezioni presidenziali russe, programmate per marzo, possono sembrare scontate: vincerà Putin che controlla tutto, si può pensare. In realtà, nel regime l’incertezza è in crescita, come ha mostrato la ribellione del gruppo Wagner. A seconda di come andrà l’invasione dell’Ucraina, il Cremlino sarà più o meno debole. Un sondaggio condotto pochi giorni fa ha indicato nel 68% la quota di russi che vorrebbero Putin rieletto. Il problema, per lui, non è però tanto il consenso popolare: via via che le elezioni si avvicineranno, le tensioni nell’apparato militare, nei servizi, nell’economia, tra gli oligarchi sono destinate a crescere. Possibilità di sorprese non trascurabile. L’Europa e l’Occidente fanno bene a porsi già adesso il problema del futuro della Russia.
Narendra Modi non è solo il primo ministro dell’India. Di fatto è il leader del cosiddetto Sud Globale, di quei Paesi che non hanno intenzione di allearsi fermamente con gli Stati Uniti ma nemmeno con la Cina. Con prudenza, Modi si sta allontanando dalla Russia, con la quale Delhi ha rapporti storici, economici e militari, e si sta avvicinando a Washington: se rimarrà al potere dopo le elezioni della prossima primavera, come molti pensano, potrà giocare un ruolo di moderazione con i Paesi non allineati e offrire un appoggio sempre maggiore alla difesa della sicurezza e alla libertà economica nell’Indo-Pacifico.
Niente è scritto, al momento, se non che il 2024 sarà un anno di grandi cambiamenti politici. A differenza che nel 2016, però, già sentiamo il rumore delle avvisaglie e ne siamo avvertiti. Non possiamo guardare altrove: questa volta, le sorprese non saranno una sorpresa.