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 2023  luglio 22 Sabato calendario

Come le donne riuscirono a laurearsi in medicina

Prima dell’avvento de Le ragazze in camice bianco, raccontate in questo libro della giornalista americana Olivia Campbell ( Aboca Edizioni), alle donne era interdetto l’accesso alla professione medica o meglio la esercitavano di nascosto. Occupavano ruoli di secondo piano, ausiliari e complementari al patriarcato: erano sacerdotesse, sciamane, farmaciste, maghe, levatrici. Aiutavano sottobanco i loro uomini a preparare i medicinali, visitare i malati, somministrare le cure. Al resto provvide la chiesa, che apostrofò le guaritrici (sovente suore) come streghe e condannandole in decine di migliaia di casi al rogo.Fino alla loro battaglia, combattuta in una temperie vittoriana, moltissime donne morivano di malattie curabili perché rifiutavano di sottoporsi a visite umilianti, dolorose e appannaggio esclusivo dei maschi. Prima di loro, il sesso femminile era escluso dalla medicina ufficiale perché non ammesso all’università. Poi arrivarono Elizabeth Blackwell, Elizabeth Garrett Anderson e Sophia Jex-Blake. Tre pioniere. Che chiedevano di essere considerate alla pari degli uomini. Semplicemente. Dimostrarono di essere all’altezza, ben sapendo «che le loro azioni avrebbero permesso alle generazioni future di forgiare il proprio cammino e ridefinire il concetto di lavoro femminile». Rivoluzionarono l’approccio alla scienza medica e anticiparono campagne femministe al di là da venire. E pensare che Elizabeth Blackwell, inglese di origine ma migrata negli Stati Uniti, aveva ripulsa di tutto ciò che riguardava il corpo umano. Poi dopo la lettura de La donna nel diciannovesimo secolo di Margaret Fuller la sua folgorazione sulla via di Ippocrate. Scalando una montagna di porte in faccia e pregiudizi, grazie a un escamotage divenne, a 26 anni, la prima studentessa di Medicina d’America. Nel 1849 la laurea.«Nove anni dopo, sull’altra sponda dell’Oceano Atlantico, la ventunenne inglese Elizabeth Garrett stava leggendo l’English Woman’s Journal quando s’imbatté nella storia di una donna medico» : di cognome faceva Blackwell. La sua porta girevole sarebbe stata invece la professione infermieristica, fin lì la colonna d’Ercole di genere. Un certificato in anatomia e fisiologia e, nel 1865, dopo tanto prodigarsi, la licenza dalla Società dei Farmacisti. Lizzie (il suo soprannome) fu il primo medico-donna suddito di Sua Maestà.La parabola di Sophia Jex- Blake, medica e attivista britannica, è legata all’epopea de Le sette di Edimburgo.Lo zenit nel 1870 quando, poco prima di entrare nell’aula di anatomia dell’università di Edimburgo dove dovevano sostenere un esame, furono accolte da una masnada di docenti e studenti ubriachi. Gli “uomini” gettarono loro addosso fango e spazzatura. Ma le sette ragazze tirarono dritto per la loro strada, ottenendo sempre voti alti e non abbandonando l’ateneo dove erano riuscite a iscriversi l’anno precedente. Finché il tribunale accademico non tornò sui suoi passi: in quanto donne, non potevano prendere quel tipo di laurea. Questo nuovo medioevo non sarebbe durato ancora a lungo. Diverse università europee liberalizzarono l’accesso. Le donne vestirono progressivamente il camice bianco. E il mondo divenne più giusto. E più in salute.