Corriere della Sera, 21 luglio 2023
Cavour e il turismo
Nessuno di certo può sospettare che il liberale conte di Cavour fosse un nemico del progresso e tanto meno che fosse ostile alla circolazione delle persone da un Paese all’altro, proprio lui che per anni prese l’abitudine di muoversi di continuo tra Torino, Parigi e Londra. Eppure in un suo celebre scritto del 1846 – «Le ferrovie in Italia» – si leggono queste righe: «La presenza di una gran massa di stranieri in mezzo a noi è sicuramente una fonte di profitti ma non è senza inconvenienti. I rapporti di una popolazione con persone ricche e dedite all’ozio, che in qualche modo essa sfrutta per vivere, sono poco favorevoli allo sviluppo di abitudini industriose e virtuose: quei rapporti infatti generano uno spirito di astuzia e di servilismo funesto per il carattere nazionale. Poiché poniamo al primo posto per un popolo il sentimento della propria dignità, siamo per ciò stesso poco sensibili ai guadagni che dobbiamo pagare in termini di insolenza e di boria altrui nei nostri confronti. Pur senza voler fermare il movimento che spinge gli stranieri verso l’Italia, lo considereremo veramente utile, però, solo quando, potendo farne a meno grazie al progresso delle sue industrie, potrà trattare quel movimento su un piede di perfetta parità».
Oggi gli italiani vanno anch’essi numerosi all’estero, come si augurava Cavour, ma egualmente chi governa l’Italia farebbe bene a seguire il suo ammonimento non indulgendo nel gioire sempre e comunque per la valanga di turisti che si rovescia sulla Penisola. Turisti che tutt’oggi, tra l’altro, sono spesso accolti da uno «spirito di astuzie e di servilismo» che certo non ci fa onore. Qualche nostro ministro dovrebbe convincersi che la sua figura è diversa da quella di un ristoratore o di un agente di viaggio, e che dopotutto per il rango e l’immagine dell’Italia l’Eni, Fincantieri o la Ferrero sono più importanti di Milano Marittima e perfino del Colosseo.