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 2023  luglio 21 Venerdì calendario

Lettere di Beatrice Vincenzi

Gentile direttore, in occasione dell’inizio delle celebrazioni del centenario pucciniano sono accadute troppe situazioni che poco o niente hanno a che fare con la musica del maestro e molto invece con la politica più becera,che con una violenza inaudita è voluta entrare a gamba tesa in un terreno che non le dovrebbe competere.
I fuochi d’artificio sono iniziati pochi giorni prima della mia esibizione al concerto di apertura delle celebrazioni con il mio inserimento nella lista di proscrizione di quattro gatti (e aggiungo miserabili) di sinistra che, con un’orchestrata campagna anche su una delle testate italiane più schierate a sinistra, hanno cercato di impedire al teatro di Nizza di mantenere il mio incarico di direttore dei concerti di fine anno, accusandomi e diffamandomi quale novella neofascista italiana all’assalto dei loro teatri. Un evento grave,avvenuto e tollerato nel Paese che ci ha dato quei principi di libertà e democrazia europei che tanto incensiamo ma che scordiamo volentieri quando è da colpire il “nemico politico”. Un evento a cui certe testate italiane hanno fatto da cassa di risonanza contribuendo ad esacerbare un clima di odio e intolleranza, tra l’altro riportando anche notizie false sul mio conto come ad esempio che alle ultime elezioni io fossi stata in procinto di candidarmi.
I fuochi sono poi proseguiti con il tentativo maldestro da parte di certa nomenclatura che probabilmente non conosce neanche i fondamentali della musica classica, di censurare il mio programma artistico del concerto inaugurale. Abbiamo assistito alla partecipazione di oltre 5mila spettatori entusiasti ma con la fila vuota delle autorità di provincia, regione e comuni limitrofi, tutte appartenenti all’area di sinistra, perché avrei inneggiato al fascismo mussoliniano eseguendo L’Inno a Roma di Puccini.
Non sto a tediarla con la storia di questo pezzo che lei e alcuni suoi attenti e professionali collaboratori conoscono benissimo.
Dico solo che se applichiamo il principio che chi si appropria dell’uso di un’opera d’arte (in questo caso il regime fascista o il Msi) ne diventa il coautore principale,vuol dire che abbiamo superato ogni limite. Lei sa bene come ho replicato: ho denunciato dal palco il tentativo censorio e ho eseguito senza problemi e con l’entusiastico supporto dell’orchestra e dei cantanti in un tripudio di pubblico.
L’ultimo fuoco d’artificio è stato quello del direttore Veronesi che ha pensato bene di manifestare la propria avversità alla regia “sessantottina” di una Bohème ambientata durante il Maggio francese, presentandosi bendato con fischi reiterati del pubblico sia al suo indirizzo che a quello del regista. Ed ecco l’opinione pubblica, come in una sorta di nemesi, pronta ad incensare l’atteggiamento del direttore e a crocifiggere il regista rosso. Poiché da molti sono sollecitata ad intervenire sul punto, vorrei essere netta su tutta la questione: non possiamo criticare e attaccare i censori quando ci censurano e poi diventare a nostra volta dei censori. Non possiamo più tollerare che l’arte si riduca ad un risiko su cui piantare bandierine di potere e ridurre a mera campagna elettorale tutte le questioni di merito artistico. Il king maker della questione è solo il pubblico a cui noi artisti ci rivolgiamo; sarà il pubblico a decidere la validità delle nostre capacità, dei nostri messaggi culturali. Nel caso specifico, oltretutto, voglio sottolineare che una lettura “sessantottina” della Bohème non rappresenta assolutamente una novità e che la decontestualizzazione delle regie liriche fa oramai parte del patrimonio artistico del settore, volenti o nolenti.
Veronesi, se in disaccordo con la lettura registica, avrebbe fatto meglio, e sarebbe stata anche una scelta comprensibile, a rinunciare all’incarico e a indire una conferenza stampa articolata che andasse nel merito della sua contestazione sul valore artistico della regia.
In sostanza non possiamo ritornare indietro alle catalogazioni naziste sull’arte degenerata e nemmeno ai pogrom togliattiani sugli astrattisti toscani, peraltro organici al Pci di allora.
Non possiamo inoltre prendere da un artista quello che ci fa più comodo in rapporto alla nostra appartenenza ideale. Questo non vale solo per Puccini; non vale solo nella musica. Vale in letteratura, nella pittura, in tutte le forme d’arte e cultura. Dobbiamo avere il coraggio di fruire di ogni espressione artistica e re-imparare ad utilizzare tutte le nostre capacità di pensiero critico senza pregiudizi. Dopodiché la musica classica è essenzialmente interpretazione dell’artista e non ci sono parametri scientifici per valutarla ma solo l’emozione del primo accordo, del silenzio di centinaia o migliaia di persone che sono in attesa di una vibrazione, del sipario che si chiude. Con buona pace degli aspiranti melomani e di molti sedicenti critici musicali che dai loggioni sono migrati sulla tastiera con la criniera da leone. —