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 2023  luglio 21 Venerdì calendario

Giorgia&Marina, le incompatibili

Non era difficile immaginare che la lettera di Marina Berlusconi avrebbe costituito uno scossone alla finta pace che la memoria di Silvio Berlusconi sembrava aver portato dentro la coalizione al governo. Più imprevedibile è stata, invece, la risposta data mercoledì dalla premier. Quello fra le due è stato uno scambio crudo, senza orpelli, dritto al cuore di due questioni. Uno scambio in cui vari limiti della politica e delle relazioni pubbliche sono stati travolti.
Il principale dei quali è quello della scelta delle parole.
La missiva di Marina Berlusconi sceglie queste parole con esattezza chirurgica, tagliando via giri di frasi e usi di metafora con cui si ammorbidisce il dissenso fra amici. «Non doveva finire con Silvio Berlusconi la guerra dei trent’anni?» è l’inizio della lettera, una domanda fatta di puro distillato senso, formata solo da quattro (ma potentissime) immagini: il nome di Silvio Berlusconi, la sua morte, la guerra, e trent’anni. Quattro pietre, dopo il cui lancio non era nemmeno necessario procedere. Qualunque italiano aveva capito: in quelle immagini evocate se ne affollavano tante altre, foto in bianco e nero di tribunali, interrogatori, magistrati, manifestazioni. Il film della vita politica e personale di un leader, Silvio Berlusconi, e di un Paese, il nostro.
Con altrettanto uso economico delle parole risponde Meloni: «Non posso considerare Marina Berlusconi un soggetto della coalizione perché non è un soggetto politico». In questo caso la potenza della frase è tutta nella negazione di qualunque ruolo a Marina Berlusconi nel mondo della politica. Inoltre, a differenza di Marina, che parla solo indirettamente, con l’attacco ai giudici, ma senza coinvolgere direttamente l’Inquilina di Chigi, Meloni va dritta addosso alla figlia del Cavaliere, di fatto tacitandola. Tra le due frasi questa della premier risuona così come la più drastica e forse la più offensiva. Tanto più per il contesto in cui viene pronunciata: le celebrazioni per la morte di Borsellino, Palermo a lutto, manifestazioni cui la premier (e non ne discutiamo le ragioni) non ha partecipato.
Siamo di fronte insomma a un vero e proprio scontro politico – siamo ben lontani dal semplice dissenso di opinioni, di affetti, e persino di posizionamenti politici. Partendo dalla Giustizia infatti queste due potentissime donne attaccano la legittimazione l’una dell’altra, negandosi reciprocamente il ruolo di cui sono investite.
Meloni nega l’innegabile: certo Marina Berlusconi non è un soggetto politico, ma forse Chigi dimentica che oggi nelle sue mani c’è la forza reale della coalizione che la stessa Meloni guida – il ruolo di un’azienda che «ha costruito una nuova narrativa dell’Italia» (proprio quello in cui la premier crede così appassionatamente per la comunicazione della nuova coalizione) e che continua ad essere centrale in questo ruolo. Meloni inoltre pare scordare che nelle mani di Marina ci sono i cento milioni di debito che quella coalizione è costata a Silvio Berlusconi. Non è certo eletta, Marina ma il suo peso nella società attraverso i suoi media, e in quello nella vita dell’attuale governo è certo più determinante di quello di Chigi. Quanto basterebbe a rovinare l’equilibrio del governo? Un nuovo socio nelle aziende della famiglia? Un taglio alla benevolenza con cui i Berlusconi continuano a sostenere quello che è ormai un piccolo partito? È sicura la premier che non è un soggetto politico una tale forza?
D’altra parte, sia pur con maggior garbo, è altrettanto chiaro che l’erede di Berlusconi ha anche lei fatto un’operazione di delegittimazione di Giorgia Meloni. La sua lettera non nomina mai la premier, né si ha traccia di alcuna “cortesia istituzionale” nei confronti della premier: un atto così politico non avrebbe dovuto essere almeno anticipato a Chigi? Marina Berlusconi ha completamente ignorato la premier, trattandola come un rango minore.
Siamo così di fronte a due opposte delegittimazioni, in nome di due diritti che sono l’anima della dinamica politica in democrazia: il diritto dinastico di Marina e il diritto elettivo di Giorgia.
Forse nessuna delle due intendeva arrivare a questo punto, e tuttavia il risultato finale è una crisi che appare ora molto difficile da far rientrare. Lo scontro è tale da non essere già più cancellabile con facilità né dalla memoria della coalizione politica, né dalle sensibilità delle persone/ famiglie che vi sono rimaste coinvolte.
Eppure c’è in tutto questo anche qualcosa di molto innovativo. L’asprezza, l’essenzialità di questo affronto reciproco è molto tipico delle nuove donne di potere, che hanno adottato una nuova postura di combattimento di quasi crudele fermezza. Arrivando così, consapevoli o meno che siano, a spaccare con una operazione verità il mondo ipocrita del dibattito pubblico come lo conosciamo. —