Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  luglio 21 Venerdì calendario

Intervista a Guido Crosetto


Il ministro della Difesa Guido Crosetto non nasconde i timori per i difficili equilibri che l’Italia sta inseguendo dentro e fuori dai confini nazionali, pur cogliendo le opportunità che si aprono per il nostro Paese. C’è un «necessario protagonismo dell’Italia nel Mediterraneo, qui giochiamo un ruolo fondamentale», sottolinea, ma dietro alle luci del caso Zaki restano ancora le ombre del caso Regeni «che va risolto – dice – con l’Egitto, non contro l’Egitto». E allo stesso modo restano vive le tensioni interne sulla giustizia, così come sul Pnrr, su cui la Lega continua a mostrare perplessità, ma che «deve trasformarsi in opere e interventi utili per il futuro del Paese ed è importante – ripete più volte – tutelare al meglio lo Stato e i cittadini in questo sforzo».
Pare si sia sbloccata la terza rata del Pnrr. Ma quali tutele crede sia necessario introdurre?
«Nulla di trascendentale, ma – ad esempio – inserire delle fideiussioni quando si finanziano opere pubbliche. In questo modo, se le imprese non saranno in grado di terminare le opere nei tempi stabiliti, la responsabilità non sarà dello Stato, ma di chi ha sbagliato».
Non c’è il rischio, in questo modo, che le gare vadano deserte o che finisca con una pioggia di ricorsi?
«In tutti i paesi, anche da noi, si chiede una fideiussione a garanzia del rispetto dei tempi. È una sfida troppo grande per accollare rischi solo allo Stato. Rischieremmo di farlo saltare».
Sul fronte interno, si continua a discutere anche di giustizia. Lei è convinto della scelta di abolire il reato di abuso d’ufficio?
«Ho deciso che sulla giustizia, non occupandomene in prima persona, delego il mio voto e il mio pensiero a ciò che decide Carlo Nordio, perché mi fido di lui. È una delle persone di cui ho più stima e fiducia nel Paese e non vado a sindacare una virgola di quello che lui dice».
Neanche quando mette in discussione il reato di concorso esterno in associazione mafiosa?
«Quello che Nordio pensa sul concorso esterno lo dice da vent’anni. Qualunque cosa rispondessi, alimenterei delle polemiche e non voglio farlo».
Sul fronte giudiziario, invece, è arrivata la conferma dell’iscrizione di Daniela Santanché nel registro degli indagati. Si apre ora una questione di opportunità politica sul suo ruolo di ministro?
«Sono garantista. Un avviso di garanzia per me non conta nulla, è solo a tutela dell’indagato. Se iniziamo a far dimettere i ministri quando un magistrato manda avvisi di garanzia, in un paio di settimane ci presteremmo a una distorsione del sistema giudiziario e del suo corretto rapporto con la politica, il Parlamento e il governo che non va bene. Parlamento, governo e magistratura sono ordini indipendenti e sovrani e tali devono restare. Purtroppo, conosco bene i modi con cui vengono utilizzati talvolta i poteri straordinari che lo Stato affida a chi deve tutelarlo».
Sul caso Zaki si è dato merito al lavoro del governo e della diplomazia, ma cosa abbiamo dato all’Egitto in cambio della grazia?
«Non c’è stato uno scambio. La grazia è un tassello di quell’opera di ricostruzione dei rapporti con l’Egitto. Rapporti che alcuni governi precedenti avevano deciso in modo ideologico di chiudere. La soluzione dei problemi che l’Italia ha con l’Egitto, tra cui c’è anche il caso Regeni, nasce semmai da una intensa e fattiva cooperazione politica e diplomatica».
Si dice che l’Italia abbia assicurato ad Al Sisi un aiuto sul fronte agricolo e l’impegno ad aiutare lo sblocco di 431 milioni di dollari di fondi del programma alimentare Onu per l’Egitto.
«Non c’entra nulla con la vicenda Zaki. Rientra semmai in un’altra visione, che è quella della sicurezza del bacino del Mediterraneo. Un Egitto in cui aumenta l’instabilità diventa pericoloso per sé stesso e, necessariamente, per noi. Costruire condizioni economiche, scolastiche, sanitarie e di formazione dignitose in Africa è l’unico modo per evitare che l’Europa diventi l’unico possibile approdo per milioni di persone oggi e per centinaia di milioni di persone tra 20 anni».
Il governo vuole affrontare anche il caso Regeni?
«Lasciamo lavorare la diplomazia. Non è sollecitando o insultando sui giornali che si risolvono le questioni. Tutti vogliamo trovare la verità e chiudere la vicenda in modo serio: chi è colpevole paghi, questo è l’obiettivo che dobbiamo perseguire, ma insieme all’Egitto, non contro l’Egitto».
Il rispetto dei diritti umani passa in secondo piano?
«Se la mettessimo sul piano del rispetto dei diritti che abbiamo in Europa, difficilmente avremmo rapporti con molti paesi extra Ue. Sono vent’anni che parliamo con la Cina, nonostante tutto».
Con Pechino ci parliamo e abbiamo firmato il memorandum per la via della Seta. Lo abbandoneremo?
«Non bisognava entrarci. Ora ci siamo dentro e questo rende più complicato uscirne. Per tornare indietro, adesso, otterremmo un rapporto peggiore di quello che avevamo prima di entrarci. È una delle grandi vittorie di Conte e compagni. A Geraci, della Lega, lo dico quotidianamente, ma lui ormai vive e lavora in Cina».
La presenza della Cina in Africa è un problema?
«È un tema insidioso. Forse lo è persino più della presenza della Wagner, che in Africa ha un’organizzazione estesa, capace di creare forti destabilizzazioni. Per questo serve una regia europea e occidentale per proteggere e sviluppare la ricchezza dei paesi africani a loro vantaggio».
Teme che il mancato accordo sul grano, che Putin si rifiuta di rinnovare, possa vanificare gli sforzi del governo per stabilizzare l’area del Nord Africa?
«Tutto è connesso ed è certamente un elemento di preoccupazione. Il grano ucraino viene al 95 per cento esportato fuori dall’Africa, ma quando questi paesi non hanno quel grano si muovono per cercarlo altrove e, inevitabilmente, il prezzo globale si alza. La conseguenza è che per l’Africa diventa più difficile comprarlo. Destabilizzare quelle regioni già in difficoltà è chiaramente un problema che si ripercuote anche sull’Europa».
Nel frattempo, la Wagner ha abbandonato il fronte ucraino. L’Italia proseguirà comunque con l’invio di nuovi aiuti militari a Kiev?
«Finora abbiamo mantenuto gli impegni assunti, ma è venuto il momento di perseguire con forza ancora maggiore, come governo, la strada della pace e di un tavolo negoziale per far finire la guerra. Dobbiamo iniziare a parlare della fine di questo conflitto e a discutere delle condizioni per arrivarci cercando di stabilire anche dei termini temporali. Il prossimo anno, in questo periodo, mi auguro non si parli più di guerra in Ucraina».
Si aumenterà comunque lo sforzo per raggiungere il 2% dei finanziamenti militari in rapporto al Pil, come chiede la Nato?
«Intanto servirà intervenire nella prossima finanziaria almeno per evitare che la percentuale di spesa scenda. Non possiamo dare un segnale di discesa. Il 2% per la Nato sarà a breve un punto di partenza, non più di arrivo, e siamo tra gli ultimi Paesi rimasti a non averlo raggiunto».