La Stampa, 20 luglio 2023
Le città responsabili delle emissioni di co2
«Signora, quanto pesa la sua casa?». Era questa una delle domande preferite di Buckminster (Bucky) Fuller, grande architetto e inventore americano, quando negli anni Venti del Novecento propagandava il suo progetto Dymaxion – una casa super-leggera pensata per produzioni edilizie di massa, alla pari della Ford Modello T. Per la verità il Dymaxion non ebbe grande successo, rimanendo una delle tante utopie irrealizzate del secolo scorso. Tuttavia, le idee che l’avevano ispirato hanno avuto vita più longeva - e sono oggi di grande attualità.
Di solito non pensiamo al peso dei nostri edifici; tuttavia, di fronte alla crisi climatica, dobbiamo renderci conto che essi stanno schiacciando il pianeta. Non in senso letterale, con la loro massa, ma a causa dell’anidride carbonica che sprigionano nell’atmosfera. Gli edifici sono responsabili di circa il 40% delle emissioni globali: più o meno dieci miliardi di tonnellate di CO2 ogni anno. Una cifra difficile anche soltanto da concepire. Il campo dell’architettura ha bisogno di una rivoluzione per diminuire drasticamente tale impatto sull’ambiente, oggi inaccettabile.
Al recente Convegno Mondiale degli Architetti di Copenaghen ci siamo chiesti – insieme a molti colleghi - come l’architettura possa ridurre il proprio peso sul pianeta, contribuendo al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Partendo dalla domanda di Bucky Fuller abbiamo proposto di misurare il peso di quello che costruiamo, attraverso nuove metriche - come il consumo di risorse non rinnovabili o le emissioni di anidride carbonica durante tutto il ciclo di vita (dalla costruzione, all’operatività, fino all’eventuale demolizione) di un edificio.
A questo punto è importante introdurre dei distinguo. Non tutti i materiali gravano sull’ambiente alla stessa maniera: come nel caso del colesterolo, esistono «pesi buoni» e «pesi cattivi». Esempi dei primi riguardano la produzione di una tonnellata di acciaio, la quale emette 1,85 tonnellate di CO2; o quella di una tonnellata di calcestruzzo, che emette 900 chilogrammi di CO2. Al contrario, una tonnellata di legno può avere addirittura un saldo contrario: un metro cubo di legno è in grado di assorbire fino a 1 tonnellata di CO2 dall’atmosfera: in questo caso si tratta dunque di un «peso buono». Vanno inoltre prese in considerazione le emissioni legate al trasporto dei materiali edilizi – che possono essere ridotte impiegando risorse locali, per così dire «a chilometro zero».
Un modo per gestire la complessità dei differenti pesi edilizi è affidarsi al mondo dei dati e del digitale. Oggi possiamo monitorare in tempo reale quasi ogni aspetto delle nostre città, andando così a valutare le conseguenze di diverse scelte progettuali. Con i progressi della sensoristica, inoltre, possiamo tracciare nel tempo la performance energetica degli edifici, correggendo in corsa il tiro se necessario.
Stiamo quindi imparando a misurare il problema del «peso delle nostre case»; ma come risolverlo alla radice? Un modo per farlo è riscoprire alcune pratiche a basso contenuto tecnologico, tramandate dalle tecniche costruttive tradizionali. Sappiamo che alcuni materiali del passato – come il legno di cui dicevamo prima, oppure i mattoni – sono anche quelli più rispettosi dell’ambiente. In parallelo, è necessario portare avanti la ricerca sui materiali innovativi, capaci di ridurre drasticamente il proprio impatto, come l’acciaio prodotto non con il carbone ma con l’idrogeno. Dobbiamo pensare all’architettura come a un processo in cui tutto si trasforma, e nulla si butta via. Una autentica «economia circolare», in cui i componenti edilizi possano «reincarnarsi» in diversi modi, venendo riusati e infine riciclati (ma senza mai finire in discarica).
In aggiunta a tutto questo ci sarebbe una soluzione più drastica, anche se non facile da digerire per molti architetti: costruire meno. È più semplice (e utile) far crescere una foresta che non tagliarla e trasformare il legno in un edificio "green". Meglio concentrare le nostre ambizioni su progetti di recupero e di restauro dell’esistente. Soprattutto in un Paese come l’Italia, in cui la popolazione non cresce e gli standard edilizi non cambiano – e in cui quindi un aumento dei metri quadrati pro-capite è assolutamente inutile.
Gli architetti, per loro natura, amano dar forma a visioni ambiziose, con le quali rincorrere gloria e immortalità. Tuttavia, oggi dobbiamo essere realisti: saremo tutti votati all’oblio se non sapremo essere all’altezza delle sfide del presente. Solo con modestia, l’architettura potrà lasciare un segno positivo sul domani. Un segno basato sulla leggerezza: capace di sollevarci da terra e di farci scoprire orizzonti nuovi.