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 2023  luglio 20 Giovedì calendario

Storia dei serial killer

La figura del serial killer ha sempre affascinato e al contempo terrorizzato l’immaginario collettivo. Per effetto della cinematografia siamo portati ad associare gli assassini seriali a grandi metropoli, ma non dobbiamo dimenticare che anche le strade e i sentieri della tranquilla provincia italiana sono stati battuti dai mostri. In un’intervista degli anni Ottanta rilasciata al Time, lo scrittore americano Stephen King, padre della letteratura contemporanea dell’orrore, a proposito di una delle sue opere più importanti, IT, dichiarò: «Non sarebbe grandioso prendere tutti i mostri un’ultima volta? Prenderli tutti, Dracula, Frankenstein, lo Squalo, l’Uomo Lupo, Rodan il Mostro Alato, e chiamarli IT». Il mostro, la cosa venuta da fuori, il clown assassino che a Derry, una cittadina della provincia americana, si nutre ciclicamente di bambini. Un rituale macabro che è specchio di quella realtà che un’opera di narrativa prova a spiegare come una finestra sul buio dell’animo umano. Quanto è sottile il confine tra realtà e finzione? Pennywise, il pagliaccio, che tanto fa pensare a John Wayne Gacy, il famoso omicida statunitense che si mascherava da clown per fare beneficenza in ospedale mentre riempiva il seminterrato di casa dei corpi delle sue vittime, ci ricorda che i mostri esistono e hanno dato una faccia e un aspetto umano alle nostre peggiori paure. Se volessi stilare una road map del viaggio nella provincia degli omicidi seriali italiani, dovrei cominciare da molto lontano nel tempo. Per la precisione, a Bottanuco, nel bergamasco, alla fine del XIX secolo. È il 1872 e Cesare Lombroso, antropologo e docente di psichiatria dell’Università di Pavia, viene incaricato di condurre una perizia su Vincenzo Verzeni, un giovane accusato di aver commesso brutali omicidi nelle campagne del suo paese. Aggressione, strangolamento, atti di feticismo, cannibalismo e vampirismo ai danni delle sue vittime. Verzeni è cresciuto in una famiglia di contadini, e all’inizio riesce a sfuggire alla polizia proprio per quella sua normalità apparente. Ha dodici anni quando comprende che gli piace uccidere. Se ne sta lì, chiuso per ore nel pollaio a fare strage di polli, per poi scaricare la colpa sulle faine. La prima ragazza che aggredisce è la cugina: la cosa che più gli provoca soddisfazione è mettere le mani intorno al collo di una donna e stringere. La vita o la morte delle sue vittime dipende dal piacere sessuale che riesce a raggiungere con l’atto dello strangolamento. Verzeni dichiara di non avere rimorsi per i crimini commessi ma accetta la detenzione, perché se fosse in libertà continuerebbe a cercare l’appagamento che gli procura l’omicidio. È l’estate del 1973 quando Verzeni il mostro viene ritrovato, impiccato, dagli infermieri della struttura in cui è detenuto. Cesare Lombroso conduce l’autopsia. Passa sette ore a ispezionare il corpo alla ricerca di un’anomalia, una difformità, un elemento fisico che giustifichi tutto quel male, la natura di quell’individuo, la sua propensione alla violenza e alla morte. Non trova nulla, però. Niente che possa aiutarlo a capire il buio che si annidava in Verzeni. Il male esiste e basta? Si contorce e palpita dentro le persone come una cosa viva? Provincia italiana e morte. Forse i casi di omicidi seriali italiani più noti all’estero sono due: Leonarda Cianciulli, la Saponificatrice di Correggio, e il Mostro di Firenze. La storia della Cianciulli attrae la curiosità macabra del pubblico: una donna che uccide in modo violento, animata da superstizioni popolari e da una mente dilaniata dalla schizofrenia, sembra sovvertire ogni schema e teoria sull’identikit del serial killer. A causa di numerosi aborti, quando riesce finalmente a diventare madre comincia a temere che qualcosa di terribile possa accadere ai figli. È a questo punto che decide di compiere un rituale, invitando a casa tre anziane donne che stordisce con farmaci soporiferi mischiati a una bevanda e fa a pezzi con un’ascia. Poi adopera una miscela di soda caustica, candeggina e acqua per saponificare i corpi. Ritenuta seminferma di mente, morirà in manicomio a Pozzuoli per ictus nel 1970. Quello del Mostro di Firenze è uno dei più noti e controversi casi di omicidio seriali del nostro Paese, avvenuti tra il 1968 e il 1985 nella zona di Firenze, che coinvolge otto coppie di giovani amanti. I delitti sono caratterizzati da una violenza estrema. Le vittime vengono uccise con colpi di arma da fuoco e mutilate. L’indagine è complicata da molteplici fattori, tra cui una serie di errori da parte delle forze dell’ordine, false piste e teorie del complotto. Tra i principali sospettati ci furono il contadino Pietro Pacciani e il macellaio Mario Vanni, entrambi coinvolti in un giro di occultismo e satanismo. Tuttavia, entrambi sono stati assolti per mancanza di prove concrete. Il caso del Mostro di Firenze ha avuto un impatto duraturo sulla società italiana, suscitando paura e paranoia nella popolazione, ispirando numerosi libri, film e serie televisive. È possibile che il colpevole sia ancora in libertà? È in queste storie nere che, come scrittore, affondo le mani per trarre ispirazione per i miei romanzi. Se vuoi essere universale parla del tuo villaggio, diceva Lev Tolstoj, e allora io ci provo. C’è qualcosa di magico in questa frase, un concetto che può essere esteso a ogni forma di narrazione, e dunque la provincia italiana diventa il set di una storia dell’orrore dove il mostro si cuce addosso gli abiti di una persona comune e si mescola agli altri. È in strada insieme a noi, solo non riusciamo a vederlo. La provincia di Salerno sporca di sangue diventa protagonista nel mio ultimo libro, Delitto in riva al mare, dove due vite spezzate si incontrano. Da una parte Elena, una diciannovenne ritrovata uccisa su una spiaggia, e dall’altra Matteo, un ragazzo di diciassette anni, ospite, da quando era bambino, in una struttura a cui sono affidati giovani con problemi psichici e storie di violenza alle spalle. La notte in cui viene uccisa Elena, Matteo che vive in uno stato dissociativo e in totale isolamento, manifestando interesse solo per l’arte inizia a ritrarre in modo ossessivo il volto della ragazza. Non la conosce, non l’ha mai vista e non può sapere che è stata assassinata, eppure non riesce a smettere di pensare a lei. Per tentare di sciogliere i fili di questa misteriosa connessione, una psicologa forense, Lidia Basso, dovrà entrare nella testa di Matteo e scavare nel suo passato per fare luce sul brutale omicidio di Elena. Una ricerca della verità che abbatte le barriere e trascina il lettore in quell’abisso nascosto tra le pagine di un romanzo.