la Repubblica, 20 luglio 2023
Giù le mani dal cinema
“La cultura non si lottizza, il Centro sperimentale non si lega” dice lo striscione appeso alla facciata di una delle più importanti scuole di cinema italiane. Le cicale non tacciono un istante, la calura pomeridiana assedia Cinecittà e la svuota. Ma anche le stanze del Centro sono semideserte. Cimeli e fotografie d’epoca rifanno la storia del cinema sulle pareti – il nome di Bolognini, quello di Rossellini, la locandina diC’era una volta in America, un fotogramma di Polvere di stelle. Il volto di Gassman. In un’aula, su una lavagna restano gli appunti per una possibile sceneggiatura: qualcuno ha annotato idee su un provino di tale Eva che vuole fare cinema con l’amica Clara. C’è una freccia che indica: «Punto da definire».
Il punto da definire, in questo caso, è la logica (la “ratio”, direbbero forse loro, forse no) di un emendamento inserito nel Decreto Giubileo – «decreto accozzaglia», lo definisce opportunamente un’allieva – da quattro deputati leghisti. Si prevede un intervento diretto di tre ministeri – Istruzione, Cultura e quasi incomprensibilmente Economia – nella nomina del comitato scientifico. Che perderebbe l’attuale spirito disinteressato (al momento i componenti sono senza stipendio). Soppressa, nel caso, la figura del direttore generale, la compagine direttiva risentirebbe in modo più che diretto delle scelte del governo. Spoils system? Acceleratissimo, verrebbe da dire: se la “riformina” andasse in porto, chiuderebbe anticipatamente il mandato – in corso fino al 2025 – dell’attuale dirigenza, impegnata peraltro nella gestione dei fondi Pnrr. Quanta fretta!
Gli studenti e le studentesse discutono animatamente. La rappresentanza che incontro in contumacia si esprime nettamente, quasi all’unisono, su un tema: il rischio di una consistente riduzione dell’autonomia e indipendenza delCentro. Chiedono il ritiro immediato dell’emendamento – buttato lì nel cuore dell’estate perché passasse inosservato? Chi può dirlo. Riconoscono che nella sua lunga storia il Centro – fondato nel ’35 per volontà di Mussolini e Ciano – non è mai stato al riparo da pressioni politiche, ma aggiungono che un intervento così diretto è allarmante, «può trasformarsi in un controllo capillare, in un diverso orientamento della didattica». Non si tratta di difendere chi c’è ora al timone, né attaccare pregiudizialmente chi verrà dopo: è una questione di principio, la contestazione di una modalità di azione politica. «Il punto non è il chi ma il come». Chiedo se temono che il Centro possa diventare un feudo ministeriale. Mi spiegano che l’intenzione condivisa è quella di difendere uno spazio di autonomia creativa senza ingerenze pesanti. Da parte di chiunque.
«La storia di questo luogo è fatta di grandi maestri che hanno incentivato la creatività, la sperimentazione. La libertà espressiva senza limiti. Come dobbiamo immaginarlo il futuro del cinema?». I lavori degli allievi, i loro cortometraggi sono approvati dai docenti e a quel punto finanziati: «Le docenze prestigiose perché libere, e viceversa, sono l’unica garanzia. E la “fluidità” didattica rischia di essere compromessa se al posto di maestri e maestre di comprovato prestigio e indipendenza si sostituiscono figure nominate dai ministeri e con esperienza di dubbia valutabilità». Mi piace l’espressione: dubbia valutabilità. Da queste cattedre sono passati Rossellini, che guidò il Centro nella tempesta del ’68, Carlo Lizzani, Furio Scarpelli, Antonioni e Amelio, Andrea Camilleri; e tra gli allievi vale la pena citare almeno un Gabriel García Márquez insolitamente romano. Conobbe qui Zavattini e capì che il (neo)realismo magico se lo era giàinventato lui. Era un Gabo giovane, indeciso fra letteratura e cinema, e piuttosto battagliero. Come questo drappello di aspiranti cineasti. Resto ammirato a osservarli mentre si accendono, manifestano la loro indignazione, o la preoccupazione di essere strumentalizzati. Gioco facile, in effetti, e scivoloso. Penso al titolo di un film di un allievo di genio del Centro, Marco Bellocchio: Discutiamo, discutiamo.
Discutono perché sono appassionati, e mettono alla prova la loro stessa coerenza. Intanto hanno convocato per oggi pomeriggio un’assemblea straordinaria aperta invitando professionisti e professioniste a partecipare. E a chiedere con loro il ritiro immediato dell’emendamento leghista. È una questione politica? «Fare cinema è un modo di fare politica» dice uno di loro. E mette l’accento su un’ansia di recupero del collettivismo in campo artistico che non è nostalgia – non può esserlo – ma forse, piuttosto, un’idea di futuro.