Il Messaggero, 20 luglio 2023
Biografia di Nausicaa
«Sii felice, straniero, e quando sarai nella tua terra ricordati di me, perché è a me per prima che devi la vita». «Figlia del generoso Alcinoo, Nausicaa, così mi conceda Zeus, lo sposo di Era, il signore del tuono, di vedere il giorno del mio ritorno. E anche laggiù allora ti invocherò come dea, ogni giorno, per sempre: perché tu mi hai salvato, fanciulla». Con queste parole si chiude, nel Libro VIII, l’incontro più toccante fra i tanti che Ulisse ha nel suo viaggio. Un incontro che resta “un idillio mancato”, come lo definisce Giorgio Ieranò nel suo bel testo. Ma che proprio al “non avveramento” deve il suo incanto.
L’INCONTRO
È stata Nausicaa – parthenos, “fanciulla non sposata” – ad avere avuto, quasi subito, la percezione di ciò che sarebbe potuta divenire la conoscenza imprevista con quel naufrago nudo e sporco, che si rivelerà per il sovrano di Itaca. Lui le ha rivolto parole di miele per sedurla idealmente, legandola alla sua causa. «Mi inginocchio davanti a te, Signora. Sei tu una dea, o una creatura immortale? Perché se sei una degli dei, padroni del cielo infinito, a me appari simile ad Artemide, figlia di Zeus dal grande cuore, per bellezza, altezza e figura davvero sei a lei molto simile I miei occhi non hanno visto nulla di così straordinario fra gli uomini, fosse femmina o maschio». Ed è stato sempre lui ad accennare al matrimonio. «Se invece appartieni alla stirpe dei mortali che abitano qui sulla terra più beato di tutto colui che ti colmerà di doni e ti condurrà nella sua casa».Quando incontra Odisseo, Nausicaa sta giocando a palla con le ancelle. Quel gioco resterà talmente connesso a lei, che l’erudito Ateneo ne farà l’ideatrice. Si tratta di un topos intrigante, tanto che Ieranò evidenzierà “l’aura di seduzione”, la “connessione tra l’eros e il gioco della palla”. Avrà pure lavato nel fiume le vesti, ma la principessa è molto più della “brava massaia” nella quale la rinchiudono Carducci e Pascoli.
IL FASCINO
Intrisa di fascino innocente, sottile e pervasivo, colpisce a tal punto la fantasia che nel 1798 Goethe scriverà a Schiller del suo amore per lei. «Quanto sono lontane, anche nell’antichità, Medea, Elena, Didone, quanto sproporzionatamente inferiori alla figlia di Alcinoo!». Goethe vorrebbe scrivere un dramma, una Nausicaa che purtroppo sarà solo abbozzata. Colei che viene definita “l’ultima tentazione di Odisseo” ha toccato la fantasia di molti, me compresa, che le avevo dedicato il mio primo romanzo pubblicato. Nell’Odissea, all’inizio la fanciulla desidera e spera. Con pudore e fierezza, senza affermazioni esplicite, bensì con gesti che valgono più di una dichiarazione. Vuole Odisseo per marito. «In ogni parola, in ogni gesto di Nausicaa – dirà poi il filosofo Schlegel – c’è la più bella mescolanza di sincerità e di paura, di desideri segreti e di delicatezza». Come lei spera il padre, il saggio sovrano Alcinoo. Lo fa in maniera più espressa e concreta, lo lusinga l’idea di avere per genero proprio l’eroe. Il quale, a sua volta, è forse un po’ tentato di restare in quell’isola felice, quella Scheria che è un “non luogo” armonioso, nel quale riecheggia l’Età dell’oro. Tutto era cominciato con una tempesta e un’isola misteriosa – espedienti narrativi che si reiterano, basti pensare a Shakespeare, a Prospero, a Miranda. Si intravedeva già un possibile scenario: quello del “e vissero per sempre felici e contenti”. Ma non sarebbe accaduto: gli dei hanno deciso altrimenti. Nausicaa capisce che la sua è un’illusione, che deve lasciar andare l’eroe. Fa quello che non era stata capace di fare Calipso, se non costretta da Zeus. Benché inesperta e innamorata, la figlia del re dei Feaci dimostra grande dignità e consapevolezza: l’essenza di un amore, e di un amore per un uomo come Odisseo, non può che essere nella libertà, la possibilità di scegliere. Per restare incisa nel cuore dell’amato, fa appello al ricordo, alla memoria, uno dei fili rossi più importanti del poema omerico. «Ricordati di me». Il re di Itaca, del resto, le è debitore della sua stessa esistenza. Lui ne è consapevole, per cui le assicura che la «invocherà ogni giorno». Che lo faccia o meno, non è dato sapere.
Tornato a casa, non racconterà alla sposa amata e tradita, a quella Penelope che per anni ha tessuto la sua tela, dell’incontro con Nausicaa. Le parlerà di Circe e Calipso, con cui ha avuto amori profondi. Amori vissuti, avverati, finiti. Non di questo, che non è mai cominciato e dunque non può finire.
I Feaci pagheranno cara la loro lealtà, perché Poseidone pietrificherà la nave che ha riportato Odisseo a casa e coprirà Scheria con un’immensa montagna. Con il benestare di Zeus. Così potrebbe trattarsi di un sogno, o di qualcosa che non è mai esistito. Eppure, Nausicaa riempie di sé l’opera, tanto che il letterato inglese Butler parlerà di “mano femminile” nello scriverla, attribuendola a una figura fantomatica che potrebbe essere una Nausicaa. Ma sarà Nietzsche a dire la frase più profonda: «Bisogna congedarsi dalla vita come Odisseo da Nausicaa – più benedicendola che essendone innamorati».