il Fatto Quotidiano, 20 luglio 2023
Reportage dall’Emilia-Romagna, a due mesi dall’alluvione
La bella piazza del Popolo di Faenza (Ravenna) non è stata sfregiata dall’acqua, che si è fermata, sui due lati, a poche decine di metri. Più in là, nel quartiere che i faentini chiamano “Bassa Italia”, perché è sotto il livello del fiume Lamone, l’acqua ha invece lambito il terzo piano delle abitazioni. Qui solo qualche isolato accatastamento di fango solidificato, detriti e mobili distrutti, testimonia la tragedia della doppia alluvione, prima il 3 maggio poi la notte tra il 16 e il 17, ancora più devastante. La popolazione ha ripulito tutto, ha spalato tonnellate di fango. E la vita, ora, sembra scorrere normale.
Ma è solo apparenza. “È bastato un acquazzone di dieci minuti, il 13 luglio, e le strade e i piani terra si sono nuovamente allagati: le fogne, mai mappate e inadeguate, non tengono più”, dice Marina Livelli, mostrando video e foto. “Dovrebbe intervenire Hera (la multiutility che serve 311 comuni, dall’Emilia-Romagna alla Toscana, nda), ma niente… E io continuo a scrivere al sindaco, al presidente della Regione”. Marina è una sfollata, una delle migliaia di romagnoli costretti ad abbandonare le proprie abitazioni: 36.600 subito dopo il dramma, tantissimi ancora sistemati in qualche modo da conoscenti o parenti, 365 in accoglienza in tutta la regione e, tra questi ultimi, 74 minori. Marina è ospitata da amici, la figlia, invece, dal monastero di Santa Chiara.
Anche Andrea Bizzocchi è uno sfollato. Si arrangia in un singolo letto con la moglie e il figlio, in un minuscolo appartamento a Terra del Sole, sopra la farmacia dove lavora lei. Hanno le case distrutte. Tutto è da rifare. Pavimenti, infissi, impianti elettrico e di riscaldamento.
Lo studio dell’avvocato Danilo Montevecchi è da rifare. Montevecchi è il portavoce del comitato alluvionati “Il Borgo”: “Siamo i principali interlocutori del Comune”, spiega. “Il sindaco allarga le braccia, dice che ha speso tutti i soldi che aveva e che dal governo non arriva nulla. Sì, è stato nominato il commissario, il generale Figliuolo, ma non ha abbastanza risorse”.
Le abitazioni
Vuote o messe sul mercato
I faentini sono concreti, operosi e laboriosi come lo sono, proverbialmente, tutti i romagnoli. “Ma non pochi stanno già svendendo le loro case danneggiate”, dice Marina. “Non se la sentono di investire decine di migliaia di euro nella ristrutturazione senza avere la certezza che il fiume sarà messo in completa sicurezza, che la rete fognaria sarà rifatta. E allora se ne vanno”. Poi c’è chi non ha nemmeno i soldi per ricomprare i mobili andati distrutti e la narrazione della forza indomita dei romagnoli scolorisce. Perché a farcela, alla fine, saranno solo quelli ricchi.
I ristori
Guerra di classe
In Romagna stanno arrivando i primi ristori per le famiglie che hanno subito danni. Tremila euro. Attinti da quel piccolo tesoretto di 100 milioni che dovrebbe coprire tutti. Impossibile. Perché il governo ha stanziato 2,4 miliardi. Ma quasi tutti in conto capitale.
Servono per ricostruire strade, ponti, per risistemare gli argini dei fiumi. E se le famiglie per ora stanno ricevendo tremila euro le imprese non hanno ancora avuto nulla.
I campi
Deserto di limo-cemento
A trenta chilometri da Faenza, a Conselice, sempre nel Ravennate (qui l’acqua ha stagnato per giorni), c’è la storica cooperativa agricola Cab Massari, 2.450 ettari coltivati, prima dell’alluvione, a cereali, erba medica, pomodori, patate, frutteti e vigneti. Prima. Ora quei campi sono una distesa a perdita d’occhio di limo cementificato. “Stiamo cercando di rimetterci in piedi anche grazie alla solidarietà di altre cooperative emiliane e di donazioni di imprenditori privati”, dice Giampietro Sabbatani, direttore generale di Cab Massari. “Ma non resisteremo a lungo. Abbiamo perso il 90% del raccolto, circa nove milioni di danni compresi quelli strutturali. La premier Meloni ha promesso ristori al 100%: è venuta un giorno poi nessuno l’ha più vista. E noi, come cooperativa, abbiamo anche una funzione sociale: creare e garantire posti di lavoro”.
I soldi
Comuni e il rischio default
Jader Dardi, il sindaco di Modigliana, sulla montagna forlivese, poco più di 4.500 abitanti, rimasti isolati per tre giorni: Dardi aveva sospeso la circolazione sulla strada provinciale Faentina per un masso incombente, ancora oggi si accede al paese a senso unico alternato. “Qui il territorio è esploso: 500 frane segnalate – dice il sindaco –. Solo che io non posso promettere nulla ai miei concittadini perché non abbiamo ricevuto nulla”. Dardi ha impegnato 1,9 milioni di euro per gli interventi urgenti. Strade da rifare, versanti da rimettere in sicurezza. “Soldi che anticipiamo – prosegue –. Ma se lo Stato non ci risarcisce siamo in default”. Il destino di tutti i piccoli Comuni.
La rabbia
Contro tutti
Ora i romagnoli se la prendono un po’ con tutti. Con i sindaci, con la Regione (per la scarsa manutenzione dei fiumi, per non aver costruito tutte le casse di espansione). Ma prima di tutto – e più di tutto – se la prendono con il governo. Nessuno, qui, ha dimenticato la reazione rabbiosa del ministro alla Protezione civile, Nello Musumeci, quando al presidente della Regione Stefano Bonaccini e ai sindaci disse (era il 15 giugno): “Il governo non è un bancomat”.
Ieri mattina il commissario Figliuolo ha incontrato il presidente della Provincia di Forlì-Cesena, Enzo Lattuca (che è anche primo cittadino di Cesena) e il sindaco di Forlì Gian Luca Zattini. Tutto bene? “Dialogo intenso, molto franco, sincero e di contenuti”, la sintesi di Figliuolo, che ha sottolineato “eccellente sintonia” con la Regione. Contemporaneamente ad Agorà (Rai3) Bonaccini rendicontava ancora una volta, invece, il disastro (la stima dei danni è di circa 9 miliardi). “Sono caduti 4 miliardi di metri cubi di acqua in poche ore, un evento mai registrato – ha ricordato Bonaccini –. Abbiamo più di mille frane negli Appennini e circa 800 strade interrotte totalmente o parzialmente”.
Ora, c’è una domanda che corre di bocca in bocca tra i romagnoli e rimbalza da una città all’altra: “Perché Figliuolo ha avuto l’incarico per undici mesi quando le risorse sono spalmate su tre anni? Forse perché nel 2024 in Emilia-Romagna si vota?”.