Corriere della Sera, 19 luglio 2023
Intervista a Rosita Missoni
Sveglia la mattina?
«Alle 7. Faccio una colazione frugale, poi la doccia e mi preparo per la giornata. Sono ancora responsabile di Missoni Home, anche se adesso lavoro soprattutto da casa».
Legge sempre tre quotidiani ogni giorno?
«Certo: Corriere, Gazzetta e Repubblica».
E nuota ancora?
«Adesso la piscina è fuori uso. Ma sono appena stata in Sardegna e ho fatto dei bagni. Fino all’anno scorso andavo per mare con maschera e boccaglio assieme a mio bisnipote. Quest’anno vedremo...».
Rosita Missoni, al centro, con i figli e i nipoti
Rosita Jelmini Missoni è una dolcissima signora di 91 anni, appena infragilita dall’età. Ricorda con precisione luoghi e fatti e cambia espressione, rabbuiandosi repentinamente, soltanto quando parla del 2013, l’annus horribilis che le ha portato via il marito e un figlio. Ma si illumina davanti al Monte Rosa, nascosto dalla foschia, come se fosse di nuovo quel giorno del 1968, con le cime coperte di neve, quando il marito Ottavio la portò a Sumirago in mezzo alle vigne con una promessa: «Sono sicuro che ti piacerà». Aveva ragione. Ci costruirono la nuova sede della casa di moda che stava decollando nel mondo, con le finestre affacciate alle querce e alle montagne. Poi fu la volta di questa casa in mezzo al verde, dove ha insegnato a nipoti e pronipoti a distinguere l’insalata matta dalle altre erbette commestibili finite oggi sulla nostra tavola.
Ha sempre voluto lavorare nella moda?
«Faceva parte della storia della mia famiglia: i miei nonni materni, Torrani, avevano una fabbrica di scialli e tessuti ricamati. Da piccola ritagliavo le figurine dalle riviste che mio zio si procurava grazie ai maître di Golasecca di rientro dalle trasferte in America».
Un ricordo della guerra?
«Siamo stati fortunati, abitando in campagna eravamo lontani dai bombardamenti. Ma fu traumatica la fine della guerra. Lo zio Giacomo, fratello di mio papà, fu fucilato alle spalle da pseudo partigiani che lo vennero a prendere il 2 maggio del 1945. Pure mio padre era fascista, però tutti lo stimavano».
Rosita e Ottavio Missoni negli anni 70
Incontrò l’uomo della sua vita sotto l’arco di cupido di Piccadilly Circus, a Londra.
«Avevo sedici anni e mezzo, lui 27. Lo avevo appena visto vincere la batteria negli ostacoli alle Olimpiadi. Le mostro una foto dei miei nipoti con mio figlio Luca sotto la stessa statua, dove tutto è iniziato».
Le nozze?
«Il 18 aprile del 1953. Il mio abito lo aveva realizzato la “zia Carla”, la chiamavo così anche se non lo era, ma il modello lo avevo scelto io. Ci sposammo in chiesa a Golasecca, facemmo il brindisi in azienda, sul terrazzo, con il Monte Rosa davanti ai nostri occhi. E andammo a Stresa per pranzo».
Il viaggio di nozze?
«A Positano. Ottavio era bellissimo, ma soprattutto di una simpatia travolgente. Le battute sul non voler lavorare troppo facevano preoccupare mio padre sulla sua affidabilità. Lui, del resto, si straniva che il barista al mattino gli chiedesse: “Com’el va laurà?”, come va il lavoro? Ma ti sembra un buongiorno?, sbottava. Era abituato a Trieste, dove semmai gli domandavano se aveva fatto bei sogni».
È mai stata gelosa?
«Sì, ma non lo davo a vedere, non ho mai fatto scenate».
Litigavate?
«Altroché, tavoli ribaltati! Perché io volevo fare di più, sul lavoro, e lui di meno...».
Insieme avete frequentato il jet-set internazionale.
«Per noi erano semplici amici. Passavano qui per colazione Harry Belafonte, Donna Summer con il marito. Brera, Fellini, Biagi, Olmi erano amici fraterni di Ottavio, le mie erano Natalia Aspesi e Lea Massari».
Avete vestito, e del resto vestite ancora, tante star.
«Tantissime, da Liza Minnelli a Lauren Bacall, da Monica Vitti a Charlotte Rampling. Volevano tutte conoscerci. Nino Manfredi è stato un nostro testimonial ante litteram, di sua iniziativa».
Il 12 settembre 1973 vi fu assegnato il Neiman Marcus Fashion Award, l’Oscar della Moda. Ormai eravate conosciuti in tutto il mondo.
«E avremmo potuto fare qualsiasi cosa, ma Ottavio non volle cambiare nulla. Mi diceva: quando li spendiamo, poi, questi soldi?».
Il regalo più bello che le ha fatto?
«Angela, nostra figlia. Avevamo già due maschi e non pensavamo di averne altri. A quei tempi fino all’ultimo non conoscevi il sesso del nascituro. Quando l’ostetrica cominciò a dire: “È una bimba!” non può capire la gioia. Abbiamo continuato a chiamarla Bimba per anni, alcune mie amiche la chiamano ancora così».
Un scatto prima della scomparsa di Ottavio Missoni, nel 2003
Come si sopravvive a due lutti terribili? Il vostro primogenito Vittorio si inabissò nelle acque del Venezuela a gennaio del 2013, e quattro mesi dopo morì Ottavio.
«La vita deve continuare. Siamo sempre stati una famiglia unita. Io non ho smesso di lavorare e viaggiare. Ricordo il primo Natale senza di loro: Angela mi disse che mia nipote Teresa desiderava che andassi con lei in India; a lei aveva detto che ero io a voler partire. Ci furono imprevisti divertenti: una sua amica dimenticò i soldi in albergo e dovemmo tornare a recuperarli; un’altra prese la valigia di uno sconosciuto per errore e si ritrovò con cravatte e giacche da uomo. Infine prolungammo il viaggio di una settimana. Curiosità ed entusiasmo mi hanno salvato».
Va a trovare Ottavio in cimitero?
«No, perché è in camera da letto con me, dentro un vaso. Quando è mancato non ho avuto dubbi sulla cremazione, non so perché».
Come passerà l’estate?
«Tra poco torno in Sardegna con la mia amica Nanda, a Puntaldia. Poi, sempre con lei, andrò in montagna a Crans-Montana, a cercar funghi. E ancora al mare, con un bel viavai di tutta la famiglia».
Tre figli, nove nipoti, sei bisnipoti (tra poco 7): il libro che ha regalato più spesso?
«Cent’anni di solitudine».
Il lusso più grande?
«Il pollaio in giardino. Quando i miei nipoti erano piccoli li portavo a prendere le uova, ma gliele facevo trovare già pulite. Quando hanno scoperto la verità ci sono rimasti male».
L’ultima volta che è andata allo stadio?
«Tre mesi fa, con mio figlio Luca. Sono milanista sfegatata: ogni volta mi fanno una grande festa. Adesso però mi dispiace un po’ che abbiano venduto il nostro Tonali».