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Nel giardino dell’Eden non c’è il mare. La sua presenza non può essere inclusa nel paesaggio creato da Jahvé poiché l’oceano è ciò che resta della sostanza indifferenziata cui l’Altissimo ha dato forma. Il mare è infatti il “Grande Abisso”, luogo di eventi ed esseri misteriosi, su cui inizialmente ha aleggiato lo spirito divino. Poi le acque hanno invaso la Terra e con il Diluvio il mondo è riprecipitato nel caos. Perciò il Creatore ha separato le due distese d’acqua: l’Oceano e il Cielo. Nel mondo classico ben pochi amavano il mare e ne apprezzavano le spiagge, punto di confine tra la terra e le grandi acque; ancora meno erano coloro che affrontano le onde per prendere un bagno. Non che gli antichi romani non amassero la linea litoranea e la battigia; molte delle loro ville erano state edificate lì, tuttavia il luogo ameno è per l’ otium, cosa ben diversa dalla moderna vacanza. Com’è accaduto che le spiagge e gli arenili siano diventati nel tempo un luogo così frequentato? Per prima cosa è stato necessario che il mare smettesse di essere considerato uno spazio temibile e che da luogo enigmatico si trasformasse in oggetto estetico. I primi a manifestare una fascinazione per la riva sono stati i poeti barocchi.Nel 1628 Saint-Amant racconta per iscritto d’essere rimasto su un’alta scogliera per ore a contemplare l’orizzonte marino, osservare i gabbiani che volano nel vuoto e ascoltare il loro grido. Alain Corbin in un libro ben documentato, L’invenzione del mare,spiega come tra il 1690 e il 1730 in Occidente si diffonde un fenomeno chiamato in Francia teologia naturale e in Inghilterra psicoteologia. Gli scienziati credenti includono il mondo naturale nell’ambito della riflessione sul creato così come Dio l’ha voluto. La conseguenza è che in questo modo la teologia naturale produce una vera e propria “educazione dell’occhio”: il paesaggio è lo spettacolo che Dio ha offerto agli uomini. Non siamo ancora all’invenzione del mare, ma è avvenuto un cambiamento nella sua concezione. In quel periodo si diffonde anche una nuova forma di sensibilità estetica, di cui il “gusto” è una delle caratteristiche più evidenti.Nel Nord dell’Europa nasce un interesse per la passeggiata e l’escursione lungo i litorali, mentre al Sud, lungo le spiagge del Mediterraneo, le cose stanno diversamente. Il popolo delle rive, come lo chiama Corbin, ha sempre praticato il mare quale mestiere – marinai, pescatori, lavoratori degli arenili, raccoglitori di relitti – non certo come passatempo, tuttavia non ha mai disdegnato il bagno nelle sue acque. La scoperta del mare è in buona parte una storia che riguarda le classi abbienti del Nord e si manifesta attraverso la rivelazione della Natura quale spazio in cui fare esperienza del proprio corpo. Nel 1750 inizia l’afflusso alle stazioni termali marine come mezzo per combattere la malinconia, lospleen, ovvero per placare le nuove ansietà che nel corso del XVIII secolo sono nate nei ceti dominanti. Lo spleen, incoraggiando i viaggi come terapia, accresce la mobilità degli individui, la quale s’accompagna alla maggior circolazione delle merci. Inoltre il pallore e la delicatezza dei corpi, tanto apprezzati in passato, ora provocano timore. Le classi abbienti si convincono di non possedere il medesimo vigore dimostrato dalle classi lavoratrici grazie alla durezza del loro lavoro. L’alta società del tempo comincia a temere i propri desideri artificiali, i languori e le crescenti nevrosi. Il progressivo successo del mare nasce anche da un paradosso curioso: «il mare diventa salvezza, alimenta la speranza perché incute paura». Corbin insiste su questo tema che riguarda la necessità di ristabilire una armonia tra corpo e anima e arrestando la perdita di energia vitale. L’acqua marina diviene una medicina e una cura. Lo stesso Francis Bacon nel 1638 aveva scritto incoraggiando il bagno in acqua fredda: favorisce la longevità. Nel corso del Settecento nascono così le stazioni di mare. Traloro trionfa, per ragioni legate alla monarchia inglese, Brighton. Il primo stabilimento di bagni viene costruito nella città nel 1769: è il primosanitarium al mondo. Il mare deveessere freddo, salino e mosso, però si deve godere della brutalità dell’acqua, ma senza correre rischi.Questi sono gli anni in cui si diffonde l’estetica del sublime che porta anche all’apprezzamento delle alte cime fino ad allora evitate come luoghi selvaggi. Ora il corpo va esposto nel prendere il bagno, ma c’è il problema del pudore; la privacy non può essere violata, in particolare quella delle donne: così s’indossano ampi costumi. Tutto questo riguarda lagentry, poiché il bagno popolare segue altre consuetudini e pratiche.Il bagno mediterraneo è una prerogativa maschile e lo si fa per lo più nudi. I viaggiatori che scendono in Italia incontrano un’altra estetica in perfetta armonia con la cultura della bellezza neoclassica del periodo. Nel 1787 Goethe ospite a Posillipo dopo pranzo osserva una dozzina di giovani ragazzi nuotare nel mare, così «belli da vedere». Nel corso del Grand Tour chi si reca a sud scopre il potere dell’immensità e insieme il pathos del mare. È l’avvento del turista, che non coglie più il legame dell’uomo col macrocosmo: la natura è diventata uno spettacolo. Nell’estate del 1789 mentre Luigi XVI deve fare i conti con la rivoluzione parigina, il re d’Inghilterra e la sua famiglia si godono la vicinanza del mare. Non tutti però accettano l’avvento dei bagni.Nel 1817 Jane Austen descrive per la prima volta in un romanzo,Sanditon, la vita sociale che si svolge intorno alle strutture erette sulle spiagge. Nel libro, rimasto incompiuto per la morte dell’autrice, viene raccontata in modo caustico la stupidità di chi ha deciso di villeggiare in quel luogo; Jane si scaglia contro l’attitudine borghese al riposo imitando la gente importante e la nuova mentalità sociale. Tutti i personaggi appartengono al mondo di quella borghesia che sta soppiantando sulle spiagge il popolo che vi viveva e lavorava.Il mare non è stato dunque scoperto dai romantici, scrive Corbin. Brighton, capitale stagionale del regno, appare totalmente polarizzata dalla aristocrazia. Come nel romanzo, la borghesia, almeno in Inghilterra, s’accoda e scende in mare seguendo chi l’ha preceduta. Sono la corte e i nobili a decretare la nuova moda. Nel 1841 la ferrovia rovescia gente in massa a Brighton. Sono cominciate le vacanze estive.Nel 1787 Goethe ospite a Posillipo dopo pranzo osserva una dozzina di giovani ragazzi nuotare nel mare, così “belli da vedere”
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Noi umani non siamo nati per nuotare. Per quanto nel nostro albero genealogico — “l’albero della cuginanza”, come lo chiamano alcuni studiosi — vi sia probabilmente un pesce, il Tiktaalik, che centinaia di milioni di anni fa abbandonò per ragioni sconosciute l’acqua, noi non siamo dei nuotatori. Dobbiamo imparare per immergerci in oceani, mari, laghi, fiumi, ruscelli e stagni. Sebbene sentiamo un’attrazione per l’acqua — non tutti, perché c’è chi anche la teme –, il nuoto è una tecnica che siamo costretti ad acquisire.
Per l’Oxford English Dictionary il nuoto è «una propulsione del corpo attraverso l’acqua, grazie all’uso degli arti e alla posizione di galleggiamento in superficie». Annegare significa morire per immersione, o inabissamento, in acqua, per inalazione del liquido, cosa che può avvenire con facilità, se è vero che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni anno muoiono annegate 372.000 persone. Del resto solo nel 1878 la Royal Navy rese obbligatorio per i marinai saper nuotare. L’eroe del nuoto, cui Charles Sprawson dedica pagine affascinanti nel suo classicoL’ombra del massaggiatore nero ,
libro capitale sul tema, è George Gordon, conosciuto come Lord Byron, così come il più commovente dei nuotatori è senza dubbio Percy Bysshe Shelley; in qualche punto del golfo della Spezia, dove Shelley è annegato, c’è un cippo dedicato invece a Byron: «Il famoso nuotatore e poeta inglese». Prima di George Gordon nessuno aveva descritto «l’elettrizzante sensazione del nuoto». Claudicante, trovò nel nuoto la risposta al suo piede infermo, che teneva occultato dentro i calzoni per nasconderne il difetto. L’Ellesponto, che noi conosciamo oggi come lo stretto dei Dardanelli, fu il luogo dove costruì il suo mito rinverdendo quello di Leandro il giovane innamorato di Ero, sacerdotessa di Afrodite, destinata a restare vergine per la dea. Ma il giovane la raggiungeva ogni notte in segreto per congiungersi a lei nuotando per lo stretto e tornando indietro all’alba, fino a che una notte annegò nel mare in tempesta, non riuscendo ad arrivare a riva dove Ero teneva accesa la lanterna del suo segnale. Byron attraversò a nuoto l’Ellesponto il 3 maggio 1810 al secondo tentativo accompagnato dall’amico Ekenhead, che arrivòper primo sull’altra sponda. Fu il culmine delle sue traversate del Tamigi, del Canal Grande a Venezia, del lago di Ginevra e altro ancora.
Per tutto l’Ottocento gli inglesi furono considerati i migliori nuotatori del mondo nell’epoca in cui lo sport s’impose come uno dei tratti distintivi di quel paese. Tutti i campioni provenivano dal Nord dell’Inghilterra e mantennero a lungo il loro primato. Fu quella l’epoca in cui la rana divenne il modello imitato del nuoto sostituendo il cane. Nel 1879 il Boys Own Paper consigliava agli aspiranti nuotatori di disporre sul pavimento di casa un catino d’acqua con dentro una rana viva e di coricarsi su uno sgabello con la pancia e imitare i movimenti dell’animale, pratica che era già stata proposta nel 1676.
Per quanto poi sia stato superato dallo stile libero, lo stile a rana resta il più “naturale”, lento e silenzioso. Del resto ilcrawl è il più difficile da nuotare bene per via del grande coordinamento richiesto di braccia e gambe. A battezzarlo con questo termine nel 1867è stato un australiano, Charles Steedman, in un libro: chi lo praticava dava infatti l’impressione di procedere carponi nell’acqua. Un artista, George Catlin, nel corso dei suoi viaggi nel West, nel 1844 l’aveva visto utilizzare dagli indiani e descritto così: eseguono la bracciata verso l’esterno, in direzione orizzontale sforzando seriamente il torace, inclinando il capo alternativamente sul fianco sinistro e su quello destro, sollevano un braccio completamente al di sopra dell’acqua e lo spingono il più avanti possibile.
Esistono naturalmente altri stili, tra cui i più riconoscibili sono il dorso, il primo che viene insegnato ai principianti, e anche quello che dispone alla maggior serenità, come scrive Carola Barbero, e il delfino, o farfalla, che manifesta la grazia e la potenza del nuoto.
Se i pesci nuotano per obbligo, noi umani quasi solo per scelta. Perché? Esther Williams, campionessa di nuoto, e soprattutto attrice in indimenticabili film musicali come Bellezze al bagno (1944), ha detto: «Quando si è in acqua si è senza peso e senza età». Verissimo,ma c’è dell’altro. Si tratta del
sea-dreaming , come spiega Oliver Sacks in un capitolo del suo libro
Ogni cosa al suo posto . Riguarda la magia dell’acqua, la sua capacità d’agire su di noi. Lo illustra molto bene uno psicologo ungherese dal nome impronunciabile: Mihály Csíkszentmihályi. Si chiamaflow.Secondo Bonnie Tsui la parola deriva dall’inglese antico e significa: “allargare”, “fluire”; ma avrebbe anche altri significati: “piangere”, “nuotare”, “bagnarsi”. Ricapitola l’esperienza dell’immersione totalizzante nell’acqua, nel mare in particolare, dove l’io stesso sembra svanire, insieme a qualsiasi cognizione del tempo: «Azione, movimento e pensiero si susseguono inevitabilmente, come quando si suona il jazz». Una forma di concentrazione che procura un senso profondo di gioia, la stessa che deve aver provato Lord Byron nell’Ellesponto. A detta di Csíkszentmihályi il nuoto è un’ossessione, come certificano tutti coloro che ne sono affetti; ma tra i suoi vantaggi c’è quello di sbloccare i pensieri fissi e liberare la mente sino a sviluppare pensieri creativi.
«Mi rallegro in mare — scrive Byron — e ne riemergo con una leggerezza d’animo che non provo da nessuna altra parte ». Il poeta loda questo sentimento in una sua composizione intitolata Versi scritti dopo aver nuotato da Sesto a Abido , in cui rinnova il mito greco di Ero e Leandro.
Gaston Bachelard lo spiega da filosofo della scienza e da psicologo del profondo in un altro saggio affascinante: L’eau et les rêves .Quando nuotiamo in un lago, in un fiume o nel mare, ci accorgiamo che l’acqua alimenta un tipo particolare di fantasticheria. Mentre la mente si svuota, comincia a entrare nel ritmo costante e quasi automatico delle bracciate qualcosa che ci permette d’attingere alle profondità della fantasia e dell’immaginazione, come se invece di galleggiare scendessimo in fondo all’acqua, in un regno altro, che si spalanca davanti a noi. In modo simile a quanto accade nelle Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll, dove la bambina cade nel buco e incontra creature fantastiche prodotte dalla propria mente.
Il nuoto ci apre le porte di uno spazio liminare che cambia la percezione di sé stessi e del tempo. Una metamorfosi. Forse i pesci pensano così? Per saperlo bisogna nuotare, nuotare, nuotare e ancora nuotare.