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 2023  luglio 19 Mercoledì calendario

Roma bombardata (luglio 1943)

Lunedì 19 luglio 1943, giusto ottant’anni fa, era una giornata calda come quelle che affliggono Roma e l’Italia in questi giorni. La temperatura, già alta al mattino, alle 14 sfiorava i 40 gradi. Non c’era vento, la luminosità era perfetta. Una calda sonnolenta giornata d’estate in una capitale semideserta. Anche se qualcuno avrebbe potuto presagire la tragedia incombente.Per due volte, nei giorni precedenti, aerei americani avevano sorvolato Roma lasciando cadere migliaia di manifestini firmati da Churchill e da Roosevelt. Dicevano: «Questo è un messaggio rivolto al popolo italiano dal presidente degli Stati Uniti e dal primo ministro della Gran Bretagna. In questo momento le forze associate degli Stati Uniti della Gran Bretagna e del Canada stanno portando la guerra nel cuore del vostro paese...Mussolini vi ha trascinato in questa guerra come paese satellite di un distruttore brutale di popoli e di libertà...». Dato che molti avevano letto i volantini, i giornali vennero autorizzati a pubblicarli. Per la prima volta dopo vent’anni, sia pure in un messaggio del nemico, comparirono in prima pagina frasi come: «La guerra è il risultato diretto della politica vergognosa che Mussolini e il regime fascista vi hanno imposto». Il testo tendeva abilmente a distinguere tra le responsabilità dei tedeschi e quelle degli italiani. Le maggiori colpe erano attribuite alla Germania, all’Italia veniva assegnato il ruolo subalterno di «Paese satellite di un distruttore brutale di popoli e di libertà».Mussolini quel lunedì non era a Roma. Era partito in treno per incontrare Adolf Hitler a Feltre. Lasciando la stazione Termini aveva confidato ai suoi: «Questa volta gliele canto chiare». Nella sua vanità il Duce, che si piccava di conoscere il tedesco, voleva che gli incontri si svolgessero in quella lingua senza aiuto di interpreti. Trascurava il vantaggio che in questo modo concedeva all’alleato e rivale. Per bene che conoscesse il tedesco, Hitler si esprimeva nella sua lingua madre, lui no. Contraddicendo i propositi di Mussolini, fu Hitler il primo a “cantarle chiare” all’alleato. Con puntigliosità nevrastenica cominciò ad elencare tutti gli impegni e le scadenze che gli italiani avevano disatteso. Mussolini avrebbe voluto chiedere soprattutto carburante per i veicoli, mezzi blindati e corazzati, intanto doveva ascoltare le lamentele dell’alleato germanico. La situazione divenne subito tesa anche perché pochi giorni prima, il 10, gli Anglo-americani erano sbarcati in Sicilia e avevano già cominciato a risalire verso il continente. Mussolini stava forse per prendere la parola quando qualcuno gli consegnò un dispaccio, lo si informava che Roma era sotto bombardamento. Hitler divenne una furia, cominciò ad urlare lasciando i suoi interlocutori italiani quasi annichiliti. Mussolini in pratica non aprì più bocca.La prima bomba cadde sullo scalo di San Lorenzo alle 11.03. Era stata sganciata dalla “Fortezza volante” B-17 denominata Lucky Lady, signora fortunata. Quel velivolo era il flight leader, il primo di una spaventosa schiera d i 930 aerei suddivisi in sei ondate; avrebbero martellato Roma con oltre mille tonnellate di esplosivo, uccidendo tra due e tremila persone, causando immense distruzioni materiali, compresa la veneranda basilica di San Lorenzo e parti monumentali del cimitero del Verano. I banchetti e le venditrici di fiori sul piazzale vennero letteralmente spazzati via. Col procedere delle ondate, le nubi di fumo e di polvere ostacolarono la mira dei puntatori, i lanci – su avvistamento ottico – divennero sempre più imprecisi. Furono colpiti, oltre allo scalo, centinaia di abitazioni, l’università, e il Policlinico. Nell’intervallo tra due ondate, il comandante generale dei carabinieri Azolino Hazon, stimando che l’incursione fosse terminata, salì in auto con il suo aiutante per recarsi a valutare i danni. L’ondata successiva sorprese l’auto sul piazzale. Uno spezzone lo incenerì insieme all’aiutante e all’autista.Obiettivi secondari dell’incursione erano gli aeroporti del Littorio (oggi dell’Urbe) sulla Salaria e di Ciampino sull’Appia ma il bersaglio principale era lo scalo merci di San Lorenzo. Ai piloti, nel corso dei briefing preparatori, erano state date istruzioni categoriche di colpire solo quegli obiettivi. Si voleva evitare ogni complicazione con la Santa Sede. I comandanti avevano anche fatto sapere che i piloti cattolici che avessero invocato ragioni di coscienza, sarebbero stati ascoltati.Lo scopo militare strategico era la disarticolazione del sistema di trasporti per ostacolare l’arrivo dei rifornimenti in Sicilia. I bombardieri, scortati da nugoli di aerei da caccia, erano decollati da varie basi dislocate in Nord Africa dall’Egitto al Marocco. Gli italiani opposero una contraerea che non raggiungeva la quota di volo del nemico e un pugno di caccia che decollarono pilotati da autentici eroi.Il re Vittorio Emanuele III osservò il bombardamento dalla terrazza di villa Savoia portando spesso agli occhi il suo binocolo Zeiss. Il papa Pio XII vide le nubi di fuoco e di fumo da una finestra dei suoi appartamenti avendo accanto il sostituto della segreteria di Stato Giovan Battista Montini. Nel pomeriggio si recherà a pregare tra le macerie. Mussolini invece, di ritorno da Feltre, aspettò la notte prima di farsi accompagnare in auto a constatare i danni.Oltre alle finalità militari, il bombardamento aveva però anche uno scopo politico; far capire a Mussolini che l’Italia ormai era indifendibile. Tutti gli obiettivi vennero raggiunti.Lo scalo merci venne annientato; una settimana dopo, nella notte tra sabato 24 e domenica 25, il fascismo crollava su sé stesso come un tronco tarlato. In quindici giorni, dal 10 al 25 luglio, l’Italia del regime fascista scomparve. Sarebbe sopravvissuto l’altro fascismo, quello eterno del potere che diventa arroganza, delle finte soluzioni spicce per problemi complessi, delle promesse illusorie.