Avvenire, 19 luglio 2023
Non fate morire l’Osteria delle Dame
Ci sono luoghi dell’arte o dello sport che non sono come gli altri. A calcio si può giocare ovunque ci sia un campo regolamentare, ma se lo fai a Wembley non è lo stesso. Un disco lo puoi registrare in molti posti con risultati eccellenti, ma farlo a Abbey Road non è uguale. Nei decenni si sono imposti luoghi legati a particolari generi musicali, fino ad assumere le stimmate del sacro per gli appassionati.
Non sono solo spazi fisici, sono simboli e ne abbiamo anche in Italia; o, meglio, li avevamo. Basterà citare i posti storici ormai scomparsi, in cui la canzone d’autore è praticamente nata, come il Santa Tecla a Milano e il Folkstudio a Roma; oppure l’Osteria delle Dame di Bologna, aperta e gestita da Francesco Guccini nella prima metà degli anni Settanta e poi andata avanti fino agli Ottanta inoltrati: lì hanno suonato alcuni dei più grandi, come Conte, Bertoli, Dalla, Vecchioni, Lauzi. Lì è stato scoperto Lolli; lì è passato De André per una mitica partita a carte con Guccini. È l’unico posto ancora “in piedi”, ma non se la passa affatto bene. È stato riaperto nell’ottobre del 2017 da Andrea Bolognini, avvocato con l’enorme passione per i cantautori: «Dal 2016, nel giro di alcuni mesi l’ho ristrutturato, recuperato una quantità enorme di materiale “storico” sparso in tutta Italia (foto, locandine, documenti amministrativi, oggetti, persino i tavoli originali, opportunamente restaurati) nonché raccolto tantissime testimonianze dei frequentatori storici dell’osteria. Così nell’ottobre 2017 siamo riusciti nell’impresa: l’Osteria delle Dame ha riaperto il suo portone sul vicolo dopo 32 anni di chiusura “per turno”, come la definì allora Alessandro Bergonzoni, altro artista nato su quelle tavole. C’era anche Francesco Guccini e la sua commozione di quel giorno ci ha travolti tutti». Le attività a quel punto sembravano ripartire con slancio, nella primavera successiva del 2018: «I primi tempi siamo riusciti a fare delle bellissime cose: serate di ascolto e studio, presentazione di libri, mostre d’arte, tutto sempre sul tema della canzone d’autore in ogni sua sfaccettatura. Un cartellone davvero prestigioso. Poi siamo rimasti invischiati nelle problematiche relative alle autorizzazioni necessarie per l’esercizio di queste attività». Il Covid è stato semplicemente il colpo decisivo. A quel punto, Bolognini non ha voluto gettare la spugna, continuando a pagare l’affitto per un locale chiuso: «Sto cercando di ottenere i permessi necessari per la destinazione dell’Osteria a museo, per consentire – oltre alla visita dello splendido locale – la visione di tutto l’imponente materiale d’archivio che abbiamo raccolto. Credo che per confermare il “salvataggio” dell’Osteria delle Dame da me operato ci sarebbe bisogno della collaborazione (e quindi della volontà) degli enti pubblici ad ogni livello di darvi luogo, considerando il valore storico-culturale di queste mura».
Adesso è dunque il momento più importante perché questo pezzo della storia d’Italia non muoia definitivamente, diventando un parcheggio o chissà cosa di molto più prosaico e remunerativo. Bolognini ne è perfettamente cosciente: «Ho dedicato per pura passione tempo e denaro (molti, entrambi) a questa avventura, forse a breve non sarò più in grado di farvi ancora fronte e cesserà la mia gestione; in quel momento – lo so per certo – l’ Osteria delle Dame sparirà fisicamente e definitivamente, destinata ad altri utilizzi ben più remunerati dal mercato immobiliare. Ma voglio sperare e provarci ancora un po’, poi si vedrà. E, comunque vada, ne sarà valsa la pena»